Se il teatro diviene “necessario” e imita la vita, al di là di ogni rappresentazione: una riflessione sul lavoro di Ascanio Celestini presentato a Messina nell'ultima edizione del Forte Teatro Festival
Recentemente ho ripensato ai “Racconti d’estate”, tenutisi nel solco del “Forte Teatro Festival” (un progetto di Roberto Bonaventura e Stefano Barbagallo) il 20 luglio 2015 presso il Forte Sociale San Jachiddu, per la Sezione “Teatro Necessario”, una poliedrica performance di Ascanio Celestini in veste di istrionico drammaturgo e di valente attore, dotato di espressività di riconoscibile connotazione. Il versatile artista ha in quella sede per così dire saccheggiato il suo personale archivio, riusando le storie, per stimolare negli spettatori una riflessione critica in merito al comune sentire le mille sfaccettature dell’attuale realtà, con il godibile risultato di immetterci per qualche ora entro un itinerario di suggestioni. È sembrato (e così si conferma nel ricordo) un percorso, esteriore e interiore, attraverso luoghi dell’anima, apparsi incompiuti, provvisori e perturbati, simboli tutti di un legame, in uno terragno e spirituale del visionario cantastorie con il territorio e con gli altri da sé, secondo la sua interpretazione composita e sincopata – a tratti – del reale. E se l’incipit ci ha consegnato una magistrale rappresentazione dell’ansia (che ormai connota i nostri tempi) comprensiva di balbettii e balbuzie, nel prosieguo si sono alternate filastrocche sul tema di Giufà (antieroe popolare) e barzellette rivisitate (e questa parte centrale è stata la meno riuscita), fino a sfiorare il tema dell’incomunicabilità anche fra congiunti e parenti prossimi e affrontare la tematica della coesistenza in ogni essere vivente di multiformi personalità. Se si eccettua qualche lungaggine e ripetitività, evitabili, non si può che rievocare con esiti di plauso la rappresentazione, irrituale e avanguardista.
Il suono e le luci di Andrea Pesce hanno contribuito ad un adeguato completamento dell’originale pièce del poliedrico drammaturgo – attore. Il pubblico attento della serata al Forte, assai numeroso, era consapevole dell’importanza di “sentire” (anche visceralmente) la recitazione cadenzata del grandioso Celestini, maestro insuperato in naturalezza, eccezionalmente presente quella sera in terra messinese. In conclusione, quella forte presenza scenica – quasi per l’intero intervento artistico magnetica – con frequente alternanza dei registri, in un sapiente dosaggio di comico, ironico, sarcastico, fino allo humor nero, frequente, con qualche viraggio al tragico, ha risvegliato alla mia mente le convincenti riflessioni accuratamente svolte da Tadeusz Kantor sull’arte teatrale, che diviene vera vita vissuta, quando il reale, al di là di qualsivoglia idealizzazione e rappresentazione, perde il suo ruolo di modello, per fare irruzione nella sfera artistica, senza mediazione. Quella tipologia di teatro non concede tregua al pubblico, e costringe a riconoscere i meccanismi quotidiani che stritolano le umane libertà, drammatizzando le proprie paure. In questa deriva di senso della contemporaneità la caratura di “eroi” contraddittori è aderente al reale, per denunciare la tragica solitudine che accerchia l’individuo, sempre più connesso con il nulla.
Tosi Siragusa