Gli Stati Uniti restano il primo mercato estero per i vini italiani ma negli ultimi tredici anni sono cresciuti notevolmente Cina e Russia. E per il futuro si continua a guardare alle bollicine
Gli Stati Uniti restano il primo mercato estero per i vini italiani ma negli ultimi tredici anni sono cresciuti notevolmente Cina e Russia. E per il futuro si continua a guardare alle bollicine. Sono alcuni dei dati di Wine Monitor, l’osservatorio di Nomisma, presentati questa mattina al forum “Il futuro del vino (e il vino del futuro)”, nell’ambito di Taormina Gourmet.
I dati sono stati illustrati da Denis Pantini, direttore dell’area agroalimentare di Nomisma e project leader di Wine Monitor, davanti ad una platea formata da produttori, esperti, giornalisti.
L’analisi di Nomisma fotografa le tendenze in atto. Negli Usa si consumano oggi 29 milioni di ettolitri di vino, con una crescita nell’ultimo decennio pari al 37%. La Russia, con oltre 10 milioni di ettolitri ha invece fatto un balzo del 121%, un +57% si è registrato in Cina dove oggi si consumano 16 milioni e 800 mila ettolitri di vino. Cresce la produzione in Spagna (oltre 42 milioni di ettolitri, + 2% in dieci anni) ma crescono notevolmente anche Australia (+54%), Sud Africa (+58%), Cile (+92%), Argentina (+20%), Stati Uniti (+15%) e Cina (+11%). Francia e Italia pur restando in testa per volumi di produzione hanno però subito un calo. A livello mondiale i Paesi dell’emisfero Sud insidiano quote di mercato ai top five europei: se nei primi anni Ottanta l’export da Argentina, Cile, Sud Africa, Australia e Nuova Zelanda era intorno al 2% oggi è cresciuto fino al 27%.
Per il vino italiano il mercato estero di riferimento si confermano gli Usa che dal Bel Paese acquistano oggi quasi 4 milioni di prodotto. Il balzo più significativo fra il 2003 3 il 2013 è stato quello ben noto della Cina, con un + 3.800%. È cresciuta anche la Russia (+242%), aumentate anche le esportazioni verso Canada (+110%), Giappone, Svizzera, Germania e Gran Bretagna. Cina, Stati Uniti e Russia le nazioni in cui si consuma più vino di importazione (fra il 75 e l’80%). In Germania il 36% del vino importato è italiano.
Fra gennaio e luglio di quest’anno i vini italiani all’estero hanno segnato un passo positivo in quasi tutti i Paesi, in controtendenza rispetto ad un calo generalizzato delle importazioni: in Cina ad esempio le importazioni di vino sono calate del 10,3% ma il vino italiano segna comunque un +0,9%. Calano Germania e Canada, in linea con i dati relativi alle importazioni dei due Paesi.
I dati sul consumo confermano la strada già intrapresa: cresce diffusamente il consumo di “bollicine”. In Gran Bretagna ad esempio i vini “sparkling” hanno segnato un +34% fra il 2008 e il 2013, +9% nello stesso periodo in Italia. Calano in generale i consumi, si dimezzano i consumatori abituali (chi bene almeno un bicchiere al giorno) ma crescono del 27% i consumatori occasionali. La birra resta la bevanda preferita dai consumatori di età compresa fra 25 5 54 anni, il vino invece fra gli over 55 e soprattutto dopo i 65 anni.
Al dibattito, seguito ai dati, hanno preso parte autorevoli personalità del “mondo del vino”: Silvana Ballotta (General Manager del Gruppo Business Strategies – Firenze), Paolo Benvenuti (direttore Associazione Nazionale Città del Vino), Mariangela Cambria (vicepresidente Assovini Sicilia), Riccardo Ricci Curbastro (presidente FEDERDOC – Confederazione Nazionale dei Consorzi Volontari per la tutela delle denominazioni dei vini italiani), Camilla Lunelli (Cantine Ferrari, Trento), Walter Massa (Vice Presidente Fivi – Federazione Italiana Vignaioli indipendenti), Emanuele Scarci (Il Sole 24 ORE), Marco Sciarrini (Ufficio PQA7 – Promozione e valorizzazione – Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali). Sebastiano Torcivia (Ordinario di Economia Aziendale – Università di Palermo), Enrico Viglierchio (General Manager Castello Banfi, Montalcino), Vincenzo Zampi (Presidente della Scuola di Economia e Management dell’Università degli studi di Firenze), Michele Antonio Tartaglia (Responsabile Desk e Servizi Specialistici – Mediocredito Italiano) e Vittorio Anghiari (Responsabile Agribusiness – Mediocredito Italiano).
Interessanti gli spunti emersi: dalla necessità di puntare ad un miglioramento delle strutture e a una formazione specialistica del personale all’ampiezza delle Doc in Italia (521 ma solo 76 producono il 90% del vino Doc, un milione e 200 mila euro spesi nell’ultimo anno per la registrazione e la protezione dei marchi), dalla necessità di educare i giovani al consumo alla difficoltà a comunicare e spiegare all’estero una tale ricchezza e vastità.
Alcuni dati sulle grandi aziende siciliane, quelle con oltre un milione di confezioni (bottiglie e altre forme di packaging) sono infine stati illustrati da Sebastiano Torcivia. Ventisette le aziende che rientrano in questo range che raggiungono i 275 milioni di fatturato (pari al 43% del totale). Nel 2013 vi è stato un miglioramento del fatturato complessivo, con oltre 10 milioni circa di incremento, pari al 4%, e un aumento del reddito passato da un valore negativo (perdite per 2.271.146 euro) ad un valore positivo (utili complessivi per 537.528). Solo due aziende superano i 40.000.000 di fatturato: Settesoli (47.240.242) e Duca di Salaparuta (42.733.181), sebbene entrambe in calo.