Per G. come per tanti giovani come lui la pandemia ha spento i colori della vita e lo ha fatto piombare in una nube di angoscia. Ecco la sua storia
Per lui, 17 anni e mezzo, appassionato di sport, curioso della vita, sempre in movimento, essere costretto tra quattro mura di casa, due, tre ore davanti al computer in Dad e poi il divano, il silenzio, il lockdown, è stato come se si spegnessero le luci.
La vita è fatta di passioni
G. è un bel ragazzo alto, sorridente, con la testa piena di sogni e progetti. Segue molto il calcio “E’ una passione per me, la vita è fatta di passioni, senza le passioni che vita è…?”, e ha giocato per molto tempo fino a quando non ha avuto un brutto infortunio ed ha dovuto lasciare il rettangolo di gioco. Tifa Juventus e segue con molta attenzione la Formula Uno. La passione per il calcio è rimasta intatta e l’ha incanalata in un sogno. Che poi è quello che vuol fare da grande: il telecronista.
“Non capivo dov’ero”
Nel frattempo però la pandemia è calata come una nube nella sua vita di ragazzo come tutti gli altri. Due ricoveri nel reparto di Neuropsichiatria infantile del Policlinico di Messina, diventato, in questi mesi bui di lockwdown e zone rosse il luogo dove gli adolescenti ritrovano i colori della vita. La prima volta che ha varcato quella soglia era in uno stato di prostrazione profonda. Confuso, non parlava, e quel poco che diceva era totalmente sganciato dalla realtà. Letteralmente travolto dall’angoscia. “Non comprendevo più dov’ero, chi ero, cosa stava accadendo intorno a me”.
Dad: stress assurdo
Andando indietro nel tempo il primo lockdown, come per tutto il mondo, è stata una cosa del tutto nuova. “La Dad ad esempio è stata fatta la prima volta in modo superficiale. Ma se oggi dovessi definirla userei due parole: stress assurdo. In Italia la connessione è quella che è, figuriamoci dalle nostre parti. Se dovevi stare 3 ore al pc si dovevano disconnettere tutti gli altri componenti della famiglia. Accendevo il computer, seguivo le lezioni per ore, poi avevo bisogno proprio di staccarmi, non ce la facevo, mi sdraiavo sul divano. Poi mangiavo e di nuovo divano. Ma senza amici, senza relazioni sociali che vita è?Non è vero che noi giovani stiamo sempre davanti a uno schermo, al telefonino o al computer”.
Non può essere definitiva
La seconda ondata è stata peggio perché si è capito che la Dad rischiava di diventare “permanente” e per chi, come lui, era abituato a star fuori, vivere la scuola, gli amici in modo diverso, è stato un trauma. “Ammettiamolo, di furbetti della Dad ce ne sono tanti. Io stesso ad esempio se mi dicessero che l’esame finale lo dovrò fare al computer metterei la firma…..-ride G.- Però non scherziamo, non può essere questo un sistema di valutazione di uno studente….”.
Le ansie, le paure
Quei mesi con “le passioni spente” come un computer senza connessione hanno lentamente tolto luce alle sue giornate. Le ansie, le paure da piccole che erano all’inizio son diventate sempre più grandi, fino a diventare talmente enormi da portarlo in ospedale per due volte. “Ho iniziato ad aver paura di tante cose. Gli aghi ad esempio, gli spilli, o l’angoscia di stare chiusi in una stanza, in un luogo piccolo. Per sempre. Quando hai modo di stare con gli amici, uscire, magari ne parli o comunque ti confronti. Quando resto solo inizio a riflettere. E la paura mi assale. Devo ringraziare i miei genitori se mi hanno portato qui, dove ho conosciuto medici straordinari. All’inizio non capivo dov’ero, mi sembrava di vivere in un altro mondo. Totalmente disorientato. Col tempo e con la seconda ricaduta ho capito molte cose. Avevo anche paure legate alle relazioni con chi è più sopra di me. Le ho superate”.
Non mollate mai
Nei due ricoveri ha stretto amicizie con coetanei alle prese con una serie di problematiche, soprattutto con i disturbi alimentari. Vedeva le sue coetanee non mangiare, vomitare, stare col sondino. Le vedeva soffrite per anoressia. “Spesso noi dipendiamo da quel che pensano gli altri. A me è capitato di sentirmi una persona diversa dagli altri, non so, sul piano estetico, ma mi sono reso conto che dobbiamo capire che la società oggi è tale che non ci può condizionare. Se dovessi dire qualcosa a chi sta affrontando situazioni come la mia dico: non mollate mai, i muri, anche i più alti, alla fine se non molli si sbriciolano, soprattutto se non sei solo”.
“Voglio raccontare storie”
Lui non ha mollato anche quando i muri sono diventati enormi e usavano le paure che aveva dentro per distruggerlo. Ma la sua forza è la sua passione per la vita. Quando ha messo di giocare a calcio ha coltivato un’altra passione. “Io voglio fare il telecronista. Ma non fare semplicemente la cronaca di una partita. Vorrei raccontare insieme alla gara anche le storie dei calciatori, quello che hanno fatto per arrivare fin lì, i sacrifici, le gioie, il gossip. Mi piace raccontare le storie delle squadre. Senza la passione che vita è?”
Quei muri da abbattere
Già, senza la passione per la vita a un certo punto i colori si spengono e ti ritrovi tra 4 mura di casa che sembrano sempre più alti e l’unico modo che hai è provare ad abbatterli quei muri. Se hai 17 anni ti sembra di non potercela fare. Ma lui ci sta riuscendo: “Non esistono muri impossibili da abbattere”.
Grazie alla splendida Rosaria per l’intervista ma grazie al reparto che mi ha permesso di farla