Gettonopoli, ecco perché 15 condanne in secondo grado

Gettonopoli, ecco perché 15 condanne in secondo grado

Alessandra Serio

Gettonopoli, ecco perché 15 condanne in secondo grado

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lunedì 24 Giugno 2019 - 14:46

Il criterio dei 3 minuti è arbitrario, in assenza di disposizioni normative e regolamentari, se i consiglieri c'erano alle sedute, non c'è reato. Nelle motivazioni il perché agli sconti di pena

Mettere nero su bianco il perché di 15 condanne, ridotte, e 2 assoluzioni totali in appello, al caso Gettonopoli, ha richiesto più del previsto, tre mesi oltre il termine per il deposito previsto in sentenza, decisa a dicembre scorso.

Ma alla fine, con le motivazioni depositate oggi, condensate in 56 pagine, la Corte d’Appello presieduta da Alfredo Sicuro spiega chiaramente qual è il criterio adottato dai magistrati penali per giudicare i consiglieri incappati nell’affaire che ha movimentato gli animi del consiglio comunale, la scorsa legislatura.

I giudici di secondo grado ripercorrono brevemente il lavoro svolto dal Tribunale, che il 3 luglio 2017 aveva chiuso il processo con la condanna di tutti i consiglieri imputati, condividendo in buona parte quelle conclusioni, ma non tutte. In particolare la Corte di Sicuro si discosta soprattutto sul punto tanto contestato dei “tre minuti”, il tempo congruo, secondo la Procura, per ritenere effettiva la partecipazione dei consiglieri alle sedute di commissione o meno, e quindi legittimo il pagamento del gettone di presenza. Com’è noto, e lo ribadisce la Corte, all’epoca c’era un vuoto normativo e regolamentare su come quantificare esattamente l’effettività della presenza, la dicitura era generica e interpretabile. E c’erano diverse modalità per attestare la presenza, dall’appello a chiamata, esplicitato nei verbali, al rinvio, in verbale, ai fogli di presenza, compilati a parte.

C’erano quindi i casi in cui i consiglieri firmavano i fogli presenza e si allontanavano subito dopo, in alcuni casi ancora prima che si aprissero i lavori di commissione. C’erano i casi in cui la prima seduta andava deserta per assenza di numero legale; in questo caso il verbale di prima convocazione non rinviava ai fogli firma ma attestava direttamente “l’appello” effettuato, quindi presenze e assenze. Il terzo caso, infine, è quello della presenza effettiva ma sotto i tre minuti, appunto.

In primo grado il Tribunale aveva considerato provati i reati di falso e truffa in tutti e tre i casi. La Corte d’Appello pensa invece che i casi vadano distinti e non sono sovrapponibili, e quindi non ugualmente censurabili. Ecco perché nelle stesse parole dei giudici.

Nelle ipotesi in cui il consigliere si è allontanato dalla sala della commissione prima dell’inizio ella seduta e senza farvi più ritorno è impossibile parlare di partecipazione (…). Che, per ritenere la partecipazione a una seduta sia sufficiente presentarsi all’orario della convocazione, apporre una firma e andarsene è interpretazione che, prima che essere manifestamente insostenibile secondo il senso comune, non ha alcun fondamento giuridico (…). In situazioni di questo tipo i pervenuti, consapevoli della prassi per cu le presenze venivano annotate nel verbale, non in seguito ad appello nominale ma facendo riferimento a dei fogli lasciati a disposizione dei consiglieri prima dell’inizio della seduta, hanno apposto a firma su detti fogli al solo scopo di lucrare indebitamente il gettone di presenza pur non avendo alcun interesse a partecipare alla seduta, tanto da allontanarsene prima del suo inizio”.

“E’ certo vero- scrivono ancora i giudici facendo riferimento agli argomenti portati da alcuni difensori – che l’attività politica può essere svolta anche in forme non convenzionali che comprendono anche l’astensione dalla partecipazione all’attività di una commissione o del consiglio comunale (…) A tutto concedere, poi, l’ipotetico atto politico di non partecipare alla commissione avrebbe potuto considerarsi atto legittimo ove non avesse comportato la corresponsione di un gettone per un’attività certamente non posta in essere”.

Sui tre minuti, come detto, i giudici di secondo grado la pensano diversamente rispetto al Tribunale.

“Dette ipotesi – la partecipazione effettiva ma per un periodo estremamente breve ndr – sono assimilabili dal punto di vista morale quali condotte finalizzate a lucrare il gettone di presenza con il solo sacrificio di recarsi negli uffici comunali per il tempo necessario ad apporre una firma. Rispetto a situazioni di questo tipo, tuttavia il silenzio del regolamento comunale su termini e modalità legittimanti la corresponsione el gettone di presenza assume rilevanza decisiva. (…).

Anche in questo caso il richiamo alla effettiva partecipazione appare fuorviante. Pretendere di apprezzare circostanze ulteriori diverse dalla mera presenza fisica in commissione finisce per ancorare il diritto al gettone a elementi che non hanno alcun fondamento normativo. In astratto, del resto, è evidente che anche una partecipazione di qualche minuto può assumere rilievo ai fini dei lavori di commissione, se non attraverso un intervento formale, quanto meno con l’attività di relazione con gli altri consiglieri, mentre taluno potrebbe prendere parte alla stessa seduta per ore, disinteressandosene totalmente.

Non è dunque possibile in mancanza di un parametro certo valutare in concreto se il consigliere, fisicamente presente alla seduta, vi abbia anche effettivamente partecipato. Per tali ragioni il parametro della permanenza dei tre minuti appare a questa Corte del tutto arbitrario.

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