La Corte d’Appello di Messina (presidente Sicuro), dopo 11 anni di processo ha scagionato pienamente dall’accusa di abuso d’ufficio l’ispettore di Polizia Luigi Cavalcanti, condannato in primo grado ad otto mesi di reclusione, nel 2017. Malgrado il PS Santi Cutroneo avesse chiesto la conferma integrale del verdetto, i giudici di secondo grado hanno concluso che la condotta contestata a Cavalcante non costituisse reato, e lo hanno assolto.
Cavalcanti era stato condannato in primo grado per il suo inserimento in una intricata vicenda che ruotava intorno all’eredità immobiliare di un anziano.
L’accusa di abuso d’ufficio, in particolare, era stata contestata perché avrebbe violato, secondo il giudice di primo grado, l’obbligo di astenersi, da agente, di “operare” in indagini in cui si ha un interesse diretto.
In questo caso, infatti, il possidente immobiliare era il cugino primo dell’allora sua suocera, unica erede diretta. Intorno all’uomo, però, giravano una serie di soggetti che, scriveva lo stesso Tribunale nella sentenza di primo grado, avevano tentato di approfittare dello stato di debolezza dell’anziano per ottenere denaro ed appartamenti.
Quando la cugina se n’è accorta li ha denunciati e, dopo la denuncia, quando il genero poliziotto si è accorto che l’anziano era ancora “attorniato” da questi “amici-poco amici”, ha richiesto l’intervento dei colleghi.
In particolare Cavalcanti era stato avvisato telefonicamente dallo stesso anziano che a casa sua si erano ripresentati questi “amici” che volevano fargli firmare delle carte.
Dopo aver avvisato la Questura, Cavalcanti, pur libero del servizio, si era intanto precipitato a casa del cugino della suocera, da dove uscivano in quel momento i presunti amici. Vedendo che uno di loro nascondeva dei documenti in una giacca, Cavalcanti li ha bloccati.
Non avrebbe comunque potuto farlo, ha concluso il Tribunale nel 2017, anche se aveva ragione a sospettare dei presunti amici. Questi ultimi a loro volta avevano querelato non soltanto l’ispettore ma anche la cugina dell’anziano e la figlia. Ma dopo molte udienze e un lungo scontro in aula tra i due “gruppi”, i giudici hanno chiaramente stabilito da che parte stavano i “cattivi”.
“Dopo undici anni di processo si mette la parola fine ad una vicenda giudiziaria che – se non avesse inflitto gravi patimenti all'interessato, potrebbe definirsi grottesca, commenta l’avvocato Nino Cacia, difensore di Cavalcante – Tutto è scaturito dalle ritorsioni di un manipolo di soggetti che, dediti ad un piano espoliativo nei confronti di un facoltoso possidente, venivano scoperti proprio dal Cavalcante, nei confronti del quale non esitavano per mera e bieca vendetta a proporre la denuncia-querela che ha determinato il processo per abuso di ufficio. Il mio Assistito, che a differenza dei suoi accusatori riconosciuti penalmente responsabili di appropriazione indebita, favoreggiamento e resistenza a pubblico ufficiale per i quali è stata emessa la declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione, da sempre convinto della correttezza del suo operato, non ha inteso sottrarsi alle proprie responsabilità rinunciando appunto all’effetto estintivo della prescrizione.
Si era documentato con prova dichiarativa e puntuale, come il Cavalcante si fosse limitato – in presenza di una potenziale consumazione di reati invero accertati con sentenza passata in giudicato – a chiamare la Sala operativa assicurando le tracce pertinenti al reato in attesa dell’arrivo dei suoi colleghi senza eseguire alcuna successiva attività investigativa. Secondo la valutazione operata dalla prima sezione collegiale – oggi ribaltata in appello – il Cavalcante avrebbe dovuto astenersi dal compiere qualunque atto essendo la persona offesa un parente della suocera. La corte ha invece ritenuto che il comportamento del mio Assistito non fosse penalmente rilevante.
Rammarica – a tacer d’altro – come al collegio sia certamente sfuggito che ogni appartenente alle Forze dell’Ordine soggiace sì al dovere di astensione dal compimento di atti che potrebbero avvantaggiare persone vicino all’operante, ma anche al dovere di assicurare le cose, le tracce pertinenti al reato riferendo senza ritardo (siccome fatto dal Cavalcante) all’Autorità Giudiziaria.