I fratelli attivi nel settore farmaceutico avrebbero incendiato l'auto al professionista su mandato dell'ex primario di Ginecologia del Piemonte. Un'altra rivelazione del pentito Biagio Grasso.
Dopo le intercettazioni delle conversazioni che lo vedevano impegnato a prospettare a Biagio Grasso e gli uomini dei Romeo alcuni contatti per importanti affari immobiliari, il nome dell’architetto Pasquale La Spina torna anche nelle carte della seconda tranche dell’inchiesta Beta.
A parlarne, stavolta direttamente con gli investigatori, è sempre Grasso, che rivela i retroscena di un atto intimidatorio all’architetto, noto in città per la sua attività professionale.
Ecco cosa scrive nel provvedimento il Gip Salvatore Mastroeni a proposito dell’episodio intimidatorio ai suoi danni.
“In particolare il collaboratore riferiva di un episodio riguardante l’incendio di un’autovettura riconducibile all’arch. La Spina Pasquale. Tale attentato sarebbe stato posto in essere proprio dai fratelli Lipari su input di un medico – identificato in Giuseppe Luppino – che era creditore del La Spina“.
Ed ecco le parole di Grasso nei verbali rilasciati agli inquirenti: “…alcuni anni fa, sicuramente prima del 2012, accadde un attentato ai danni dell’arch. La Spina, in quanto gli fu incendiata l’autovettura a mezzo di una bomba carta o attraverso un ordigno rudimentale, episodio sul quale la squadra mobile indagò. So che gli autori di questo attento furono Antonio e Salvatore Lipari, su mandato di un medico in servizio presso l’ospedale Piemonte, che era creditore del La Spina di una somma di denaro versata al La Spina quale acconto sul prezzo di un immobile che intendeva acquistare e che doveva essergli restituita in quanto la vendita non si era conclusa. Fu il La Spina stesso a dirmi che lui sapeva che i Lipari erano legati alla famiglia Romeo-Santapaola. Io questa cosa la dissi ai Lipari, i quali mi confermarono che erano stati loro ad avere messo la bomba e le ragioni per le quali lo avevano fatto”.
L'architetto Pasquale La Spina era stato condannato in primo grado a sei anni e mezzo per una vicenda qualificata come estorsione ai danni dell'impresa che avevano eseguito per lui dei lavori in una villa, lavori che non avrebbe pagato. In appello il reato è stato derubricato e dichiarato estinto per prescrizione.