Non parlano gli arrestati dell’operazione Fortino. La trasferta in carcere del Giudice per le indagini Salvatore Mastroeni, nella tarda mattina di ieri, è durata davvero poco. Gli arrestati, in primis Francesco e Michele Arena, padre e figlio, hanno affrontato l’interrogatorio di garanzia avvalendosi della facoltà di non rispondere. Scena muta, quindi, per gli Arena e i principali protagonisti dell’inchiesta della Squadra Mobile, coinvolti nel traffico di droga che si snodava a Valle degli Angeli, che sono difesi dagli avvocati Salvatore Silvestro, Tancredi Traclo’, Giuseppe Bonavita, Maria Lembo e Giuseppe Donato.
Dopo il terremoto del blitz, quindi, Vico Fede serra le fila, e prova a innalzare un nuovo muro, stavolta di omertà. Dalle pagine del provvedimento del giudice, intanto, emerge lo spaccato di una parte di Messina, un ritratto comune a molte periferie della città. Come sempre il Giudice Mastroeni non si limita all’analisi delle prove presentate dagli inquirenti, ma riesce a tratteggiare un abbozzo di analisi sociologica che restituisce anche gli aspetti umani delle vicende raccontate.
“L’indagine offre uno spaccato significativo di uno degli ‘ambiti di lavoro’ prosperi a Messina. In una città in cui il lavoro latita, i negozi chiudono e i migliori giovani sono costretti ad emigrare, si vive anche di espedienti. In questo quadro, non del tutto esaltante, vi è un punto di discrimine, quando si arriva ai comportamenti penalmente illeciti, in cui deve intervenire il giudice penale. La droga porta e risulta pacificamente accettato e accertato nei vari campi in cui si manifesta, morte e devastazione e danni a giovani, persone, famiglie“, scrive Mastoreni.
“Vico Fede n. 4 Valle degli Angeli è uno spaccato illegale, criminale, drammatico, emblematico della Messina povera ed emarginata. Vico Fede n. 4 è antistato ma è anche vite senza speranze, fra omicidi, droga e tanto, tanto carcere, e vendita di droga/morte ad altri ‘sventurati’. Dove arretratezza e povertà si fanno criminalità, con all’orizzonte carcere, se non morte, senza una luce. Lo sguardo del giudice è e deve essere tecnico ma sarebbe solo formale se scevro di comprensione umana non per i reati ma per una umanità ghettizzata ed autoghettizzata, per il carcere, per le famiglie. Delle vittime come del reo. La droga è gestita dalla criminalità messinese. La concomitanza dei due fenomeni, ne determina ulteriormente la pericolosità”.