In “Il potere e la gloria”, Graham Greene descrive Dio – un Dio che agisce attraverso le difficoltà e le miserie, un Dio che non richiede superuomini ma che fa di ciascuno uno strumento della Grazia.
Una narrazione incalzante, un testo crudo, una scrittura accattivante. In Il potere e la gloria (pubblicato per la prima volta nel 1940) Graham Greene, celebre narratore inglese del Novecento, mette in scena una storia drammaticamente vera. Il protagonista è un prete cattolico fuggitivo in un Messico degli anni Trenta del XX secolo, un periodo immediatamente successivo al Governo di Plutarco Elías Calles. Com’è noto, Calles implementò una politica anticlericale diretta a sradicare la Chiesa Cattolica dal Paese. Diretta espressione della disposizione d’animo atea e anticlericale furono le Camicie Rosse, organizzazione paramilitare fondata nel 1930 nello Stato di Tabasco, nel sud del Messico. Ed è proprio in questa regione che il romanzo è ambientato.
Il prete non è un eroe, niente lo accomuna al classico protagonista senza macchia. Al contrario, è debole (è un ubriacone), vigliacco (scappa sempre dal pericolo), impuro (ha una figlia). Graham Greene non gli dà nemmeno un nome: tutto lo conoscono come “il prete spugna”, e anche il lettore presto familiarizza con questo epiteto. Ma in questa descrizione di un uomo qualunque, spaventato, braccato da un esercito intero, sprovvisto di qualsivoglia arma per difendersi e sul quale pende una taglia, Greene descrive l’umanità intera con le sue debolezze e, attraverso di lei, Dio. Un Dio che agisce attraverso le difficoltà e le miserie, un Dio che non richiede superuomini ma che fa di ciascuno uno strumento della Grazia.
Le debolezze del “prete spugna”, in questo senso, diventano occasioni di redenzione, spazi dove la misericordia infinita di Dio può operare, luoghi sempre vivificati dalla Provvidenza. Scrive Greene: «È troppo facile morire per le cose buone o belle, per la patria, i figli, la civiltà… ma ci voleva un Dio, per morire per gli indifferenti e i corrotti». Questa è la chiave per comprendere l’anomalo protagonista di una storia che a prima vista sembra gettar discredito sul clero rappresentato in tutta la sua debolezza e ambiguità, ma che in realtà è un’immersione nella umanità in tutta la sua complessità, debolezza, equivocità.
A un certo punto il “prete spugna” dice: «Amare Dio non è diverso dall’amare un uomo, o un bambino. È avere voglia di stare con Lui, di esserGli vicino. […] È cercare di proteggerLo da noi stessi». Ecco di nuovo l’occasione per la Redenzione (con la maiuscola), il riconoscimento dell’indegnità e, nonostante tutto, il desiderio di continuare, di perseverare, di proseguire nel cammino che bisogna percorrere fino alla fine – e la fine non la scegliamo noi ma Dio. Così capita al prete spugna, sconsolato dalla sua stessa personalità biasimevole ma che, nel puntare costantemente a Cristo, riuscirà nondimeno a volgere alla Luce diverse anime.
Un romanzo da leggere tutto d’un fiato e che proprio in questi giorni è di nuovo in libreria grazie a una ristampa Mondadori nella collana Oscar Moderni Cult (giugno 2020). Un imperdibile capolavoro di uno dei più sorprendenti scrittori del Novecento.