Le notti tra il 31 ottobre e il 2 novembre possiedono qualcosa di magico in Sicilia. Ecco tre aneddoti presi dal folklore dell'isola
31 Ottobre. Quando il sole sarà calato sarà Halloween, la Vigilia d’Ognissanti, la notte in cui gli spiriti visitano il mondo materiale e in cui tutto può accadere. In Sicilia non molti ci credono, poiché tale fenomeno è riferito alla notte successiva, quella tra l’1 e il 2 Novembre.
Notti magiche
La verità è che non una sola notte, ma tutte queste notti a metà tra l’equinozio d’autunno e il solstizio d’inverno possiedono qualcosa di magico, d’indistricabile, che l’umana immaginazione ha sempre tentato di comprendere. Chissà cos’avverrà quest’anno, che le strade saranno vuote e desolate per le regole che ci sono imposte, chissà cosa succederà nei vicoli deserti e solitari mentre guardiamo la televisione o leggiamo, chissà se i Morti verranno a banchettare nelle piazze vuote e se riunendosi danzeranno mentre noi dormiamo, come le leggende vogliono.
La paura e la saggezza
Paura? Sarebbe da folli non averne di ciò che non si conosce. Ma se la paura viene fatta fuoriuscire in maniera controllata, volontariamente, e viene domata e ricondotta sotto il giogo della ragione, la saggezza umana ne trae beneficio di fronte ai più grandi misteri. È a questo scopo che abbiamo il gusto per lo spaventevole e che cerchiamo d’intimorirci con letture, visioni e suggestioni.
Stanotte è Halloween, e vi racconto tre aneddoti tratti direttamente dal folklore siciliano, che lungi dall’essere quieto e sbarazzino, possiede nozioni tra le più inquietanti. Sconfiggete la paura e fatela vostra amica!L
Le messe dimenticate
In Sicilia si dice che se un prete non dedica tutte le messe che gli si è chiesto di dedicare, ovvero dimentica di celebrarle, sarà condannato a celebrarle dopo la morte. Questo perché nel Cristianesimo cattolico la messa è irrinunciabile in quanto il momento più sacro della vita.
Accade tra il mezzogiorno e l’imbrunire, dunque alla luce del sole, strana condizione per una manifestazione spiritica. Può capitare d’imbattersi in un rudere che un tempo era una chiesa, devastata dal tempo e dagli elementi ma in qualche misura ancòra in piedi; e dall’interno, udire litanie, canti e invocazioni.
Affacciandosi sull’ingresso si può notare che si sta svolgendo una messa, e a parte il luogo dirupato potrebbe sembrare tutto normale, ma alcuni indizî possono fare sospettare che non sia così: il messale è girato al contrario, le candele anziché bianche sono nere, il tintinnio della campanella è sostituito dal suono secco e pressante della troccula dei giorni funesti. Il celebrante, com’era uso un tempo, dà le spalle all’assemblea, che siede composta: nulla sembra fuori posto in queste figure, giacché paramenti, indumenti, capigliature e parrucconi da dietro ne nascondono le fattezze.
Talvolta il sacerdote e l’intera assemblea scompaiono un attimo prima della consacrazione (come se fosse preclusa) e chi ha veduto può dire d’aver avuta ventura, ma se non avviene e si giunge alla fine della messa, il celebrante si volta per la benedizione, ed è allora che si rivela il suo volto decomposto, poiché non è più vivo; parimenti, uomini e donne che assistevano alla liturgia, nelle loro ricche o povere vesti si alzano e si scoprono essere cadaveri scheletriti.
Quel prete in vita non aveva dette le messe che gli erano state richieste e per le quali aveva avuta donazione, per incuria o per cupidigia, e ora è condannato a celebrare tutte le sue messe scordate, una ogni anno, finché non le ha finite; ad assistervi vi sono, sulle panche, coloro che trascurarono di seguire le messe insieme a quelle persone che dal prete l’avevano avuta promessa ed erano morte senza mai poterla vedere, che così ottenevano giustizia.
Quando tutto questo avviene, bisogna lasciare la celebrazione, e non c’è molto tempo per farlo. Se ci si trattiene per troppi istanti a guardare i volti dei Morti man mano che si alzano e si girano, non c’è più speranza di proseguire con una vita normale. La loro natura è un segreto che non va infranto; mai.
Se una volta c’era il tempo di capire che si trattava d’una messa scordata mentre il prete era di spalle, oggi che non si usa più quanto poco tempo si ha per fuggire prima di subire i mali di ciò che non va visto?
La notte delle Lupimannari
Se sentite, di notte, un ululato che normalmente attribuireste un lupo, non azzardatevi a uscire di casa e sprangate le porte: non è un lupo, perché in Sicilia i lupi non ci sono più da un secolo! Ebbene sì, noi non siamo esenti alle incursioni dei Licantropi, che dalle nostre parti si chiamano Lupinarii, latinamente lupi hominarii. A un certo punto della storia diversi medici siciliani cercarono d’imbrigliare il fenomeno della licantropia nel novero delle patologie note, ma è innegabile come svariati casi abbiano continuato a sfuggire a tale definizione, riempiendo di terrore chi magari, fino a prima di farne esperienza, non ci credeva.
I lupi mannari sono figli dell’astro notturno: gli uomini di questa genìa nascono nelle notti di novilunio oppure diventano tali se hanno dormito all’aperto quando la luna campeggiava integra nel cielo. È come se fosse la Dea Luna stessa, tornata a manifestarsi dalle antichità, a generare nel mondo la sua prole o ad adottare figli, per quale scopo non si sa; eppure, alcuni tendono a ricondurre persino questa condizione soprannaturale all’intervento del Diavolo. Non esistono lupinarie, soltanto i maschi sono soggetti alla maledizione, che siano prìncipi o braccianti.
Un lupo mannaro inizia a stare male quando il ciclo lunare s’avvia verso il plenilunio, ed è quando la luna si riempie che il più assennato manda via le persone che gli sono vicine, o meglio ancòra fugge in un luogo isolato; è questo l’unico motivo per cui le vittime delle loro crisi mostruose sono rare.
Basta che l’uomo si esponga alla luce lunare, che la guardi, e inizia la trasformazione: il suo sangue impazzisce e il corpo diventa tutto un dolore, la sua schiena s’incurva costringendolo quasi del tutto su quattro zampe, i denti diventano zanne affilate e la bava diventa velenosa, gli occhi si appannano alla vista umana e si riaprono alla vista del lupo feroce; il dolore è componente primaria della condizione, odiano la luce.
Il lupinario inizia a vagare freneticamente ovunque l’istinto lo porti, alla ricerca di qualche preda da sbranare e smembrare, incapace d’intendere e di volere, incapace di distinguere le persone che gli sono care dalle belve della foresta, anzi bracca proprio gli esseri umani riconoscendone l’odore a grandissime distanze. Solo un atto di clemenza, forse, riescono a farsi sfuggire: l’ululato, che ne segnala l’avvicinamento.
Se qualcuno ha la sventataggine o la disgrazia d’affrontare un licantropo, è possibile che la sua vita sia già terminata: non c’è modo di fermarli, sono insensibili al dolore e la loro forza è spaventosa quanto la loro sembianza.
Si dice che si possa arrestare l’impeto del lupinario guardandolo fissamente negli occhi, contatto che dovrebbe riportare la sua mente all’umanità, ma si capisce quanto poco sia il tempo per fare una cosa del genere. In verità pare che ci sia un solo modo per spezzare la crisi, ossia riuscire a infliggere una ferita che garantisca una buona perdita di sangue, che fuoriesce nero e coagulato, un salasso che lo fa tornare umano.
Se non si ha successo, ci sono due vie: se va male si muore, se va bene la sua saliva infetta trasmette la maledizione. Meglio non sfidare i Figli della Luna.L
L’attacco del folletto
La concezione che c’è in Sicilia del soprannaturale distingue tra Spiriti e Diavoli, almeno nella nomenclatura. Gli Spiriti non sono necessariamente fantasmi di defunti, ma più spesso sono indicati come angeli cacciati dal Paradiso, ma la stessa cosa come ci si aspetterebbe non si dice dei Diavoli, che sembrano essere da sempre entità legate al fuoco e alla brutalità; è un’eredità della tradizione musulmana, nella quale gli Angeli pur caduti non abbrutiscono, e il Maligno è il maggiore tra i Gènî (cioè Jinn) nati dal fuoco. In questa demonologia non si fa incastrare il Folletto, quasi a rimarcare il suo carattere sfuggente: qualcuno lo annovera tra gli Spiriti/Angeli, qualche altro tra i Diavoli/Gènî, oppure come una categoria a parte.
Comunemente sono chiamati Folletti, ma qualcuno li definisce anche Monachelli, perché indossano un soggolo simile a quello monacale, e un grande cappello che ne adombra i lineamenti. Sono bassi di statura, agili, e implacabili; e anche estremamente ricchi, in che modo lo diventino non lo sappiamo. Quando sono tra gli Spiriti, s’impossessano delle dimore e decidono di beneficiare o tormentare chi vi si reca ad abitare, ma quando sono tra i Diavoli, cercano vittime da assassinare; così, per gioco, perché a modo loro sono simpaticoni.
Questa è la manifestazione più nefasta d’un folletto: entrano nella stanza in cui una persona sta dormendo, salgono sul letto e si siedono sopra il petto della vittima, alla quale dunque inizia a mancare il respiro. La persona potrebbe morire, ma di solito ha il tempo di svegliarsi, e a quel punto c’è un’unica cosa da fare per salvarsi la vita: togliere il cappello all’implacabile aggressore.
Non si capisce cosa c’è di così importante nel loro ampio copricapo, ma se lo perdono diventano pazzi e si mettono addirittura a implorare di riaverlo, da carnefici divenendo vittime. Farebbero qualunque cosa pur di farselo restituire, ed è per questo che chi conosce i loro segreti ordina che in cambio consegnino tutto l’oro che tengono nascosto, i folletti vanno immediatamente a prendere.
Ci sono ancòra persone che raccontano d’essere state quasi soffocate da un monachello, salvate per caso fortuito dall’ingresso d’un’altra persona. È un tema ricorrente nel folklore mondiale e lo si riconduce alla cosiddetta “paralisi del sonno”, eppure cos’è quella figura che molti vedono prima di riuscire a liberarsi?
NOTA. Le storie qui raccontate, in versione da me rimodulata e accresciuta in suggestione, sono tratte dal pressoché inesauribile repertorio di Giuseppe Pitrè (Usi, costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, volume quarto).