In conferenza stampa, stamane gli inquirenti hanno tratteggiato la figura del professionista Sorrenti quale "modulatore" delle richieste estorsive dei Pesce
Questa mattina, singolare conferenza stampa in Prefettura – su richiesta dello stesso procuratore distrettuale Giovanni Bombardieri, accolta di buon grado dal Prefetto reggino Massimo Mariani – per inquirenti e investigatori sui 53 arresti generati dalla doppia inchiesta Handover e Pecunia Olet. Un colpo di maglio pesantissimo ai danni della ‘ndrina per antonomasia nella Piana di Gioia Tauro, il clan rosarnese Pesce nelle sue varie articolazioni (“Testuni”, “Sardagnuoli”, “Pecora”, “Babbu”); “dentro”, nella doppia operazione, altri nomi “pesanti” della criminalità organizzata medmea, dai Cacciola ai Ferraro ai Grasso.
Sinergie
Per parte sua, il “padrone di casa” prefetto Mariani ha aperto l’incontro ringraziando il procuratore distrettuale per l’idea di tenere l’incontro (virtuale) coi cronisti a Palazzo del Governo e ringraziando magistrati e forze dell’ordine per «i grandi risultati conseguiti non solo oggi ma fin dai primi mesi di quest’anno, che testimoniano lo sforzo di ciascuna componente dell’Autorità giudiziaria per cercare di restituire questo territorio a quelle che io definisco condizioni di vivere civile».
L’idea della conferenza stampa in Prefettura, ha poi spiegato il procuratore Bombardieri, nasce da un’operazione che «ha coinvolto tutte le forze di polizia giudiziaria del territorio, che hanno lavorato su filoni investigativi distinti, attività però confluite in un’unica ordinanza», rammentando come l’inchiesta sia stata coordinata dal procuratore aggiunto Gaetano Paci e dai pm Francesco Ponzetta e Paola D’Ambrosio.
Azioni congiunte
Numerose le azioni criminose condotte congiuntamente ai gioiesi Piromalli e all’altra ‘ndrina egemone a Rosarno e dintorni, quella dei Bellocco. Anche da queste indagini, nuovi puntuali riscontri su una sorta di “patto federativo” tra queste potenti consorterie mafiose pianigiane.
Ma certo fin dalle prime battute l’attenzione degli inquirenti viene rivolta al commercialista ritenuto al soldo dei clan, quel Tiberio Sorrenti che il procuratore distrettuale Giovanni Bombardieri definisce «il mediatore, anzi il modulatore delle richieste estorsive delle ‘ndrine», che ha svolto il suo ruolo «in maniera organica alla ‘ndrangheta; addirittura mediando, nel momento in cui fra “anime” diverse della cosca si sono create incomprensioni e rivalità».
Il procuratore aggiunto Gaetano Paci mette in luce la «riproposizione di un modulo ormai sperimentato con successo in questo Distretto giudiziario: non lasciare alcun tratto interrotto nelle indagini diverse sui medesimi sodalizi criminosi alla fine di ogni singola operazione». Anche così si spiega il coinvolgimento simultaneo di Vincenzo Pesce “sciorta”, Savino Pesce o Domenico Bellocco e delle “nuove leve” criminali della Piana di Gioia Tauro. «In questo succedersi di elementi criminali vecchi e nuovi, chi ne fa sempre le spese sono gli imprenditori, le cui attività commerciali sul territorio vengono sottoposte a incessante opera d’intimidazione e d’estorsione». Di qui, il rinnovato appello a collaborare con la Giustizia: «Operazioni come questa dimostrano che è possibile che questi soggetti poi vengano arrestati e, dunque, che è possibile liberare il territorio dalla cappa oppressiva in cui loro l’hanno costretto».
Latitante… in teoria
Pur da latitante, evidenziano gli investigatori durante la conferenza stampa tenuta a Palazzo del Governo, il 29enne Antonino Pesce (classe ’92, per non confonderlo con l’omonimo congiunto) riusciva pienamente a reggere le fila del clan e stabilire chi dovesse fare cosa e come. Centrali, ancòra una volta e anche per mettere i “puntini sulle i” su tali circostanze, le intercettazioni telefoniche e ambientali, “cuore” della doppia inchiesta.
“Robot” della droga
Il 32enne Savino Pesce e il 28nne Antonino Pesce (classe ’93) sono poi al centro dell’ordinanza di custodia cautelare firmata oggi dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale reggino Vincenzo Quaranta.
Il 23 luglio del 2018, Antonino Pesce è captato durante una conversazione tenuta mentre si trovava nella masseria di Savino: discute di un viaggio in Puglia per raccogliere un carico di marijuana lavorata coltivata in quei territori per suo conto e dello stesso Savino Pesce.
«Lo hai messo il ventilatore? – dice Antonino Pesce a Pasquale Loiacono -. Il ventilatore devi mettere pulito pulito… il giorno dopo potevi fare già quello che volevi… inc… tu bastava che mettevi il ventilatore… una sera sola bastava stavi tutta la notte là, a lasciare che asciuga per bene… lo facevi girare, a terra pulito e la mattina era buona!», evidentemente in riferimento all’ “erba”. E ancòra, rispetto alle sue esperienze in tema di trasporto e smercio di canapa indiana: «Lo sai quanto me ne hanno portato dalla Puglia? 80 chili tutta verde… siamo dovuti scappare da là – Eee, puzzava, inc… abbiamo pagato 5mila euro, 80 kg di merda! È dovuto venire quello con il camper con la famiglia… l’abbiamo fatto scendere da Torino quello che va avanti e indietro per noi con il camper nei sacconi neri carico a tetto, se gli aprivano pure una …inc… sai che faceva, la scia lasciava».
Emblematico, sempre da parte di Antonino Pesce, l’aneddoto sulle “fatiche” per raccogliere un gran quantitativo di marijuana coltivata sempre in Puglia insieme all’amico “Peppe” che, s’intende in séguito, è il rosarnese Giuseppe Cacciola. «Una settimana senza acqua, senza luce, senza telefono senza niente, a terra nel cemento dormivo a terra tutti i giorni, per come ti alzavi così robot sembravi, alle 5 del mattino ci alzavamo tic tic tic tic tic tic, andavamo a tagliare, proommmm sopra le spalle bracciate sane così, tutti pieni di resina di sopra sai cosa eravamo tutti, se ci toccavamo io e te rimanevamo impiccicati rimanevamo… Caricavamo, tic tic tic tic tic, la sera, la sera fino a mezzanotte poi la sistemavamo pulita… tutta ad appenderla… Aaaa, nella Puglia… C’è un amico nostro che ha una bella terra… nelle serre… si spaventava per questo Peppe la voleva togliere, si spaventava che arrivava… inc… e per tagliarla ho perso tutto, tutto, tutto».
Non mancano conversazioni sulle difficoltà pure finanziarie nell’allestimento della coltivazione: «A soldi? All’epoca Savino ce li ha dati, glieli ha dati a questo qua… gli ha dato in totale… 10mila euro, 10mila euro poi ho rimesso altri 1000 euro di tasca mia personale per comprare la macchinetta della cosa, le buste, per fare la spesa per 1 settimana, sigarette a stecche a mai finire, ho comprato… e nel culo l’ho presa». «E la porzione tua, quanto t’è uscita?», gli chiede Loiacono, raccogliendo la delusione di Pesce per un “raccolto” finale di 70-80 chili («Avevamo fatto 400 kg!») ma pure la confidenza sul tentativo d’ingerenza dei Bellocco: «S’erano infilati pure i Bellocco, là!», tentativo stoppato quando alla piantagione si presentò Francesco “Ciccio” Corrao per conto di Umberto”Umbertaricchio” Bellocco: «Gli ho detto, cosa vuoi? Disse no Umbertarello… e digli a Umbertarello che si faccia i cazzi suoi e va a casa sua a rompere i coglioni, che qua i soldi li abbiamo cacciati noi! E se vuole spiegazioni, che c’è Savino a Rosarno, andate da lui…», con l’aggiunta che «Volevano scendere per forza là sotto per vedere quanto era o quanto non era la cosa!». Una verifica sulla consistenza della piantagione di marijuana che a Corrao venne negata. E un litigio ripreso poi a Rosarno direttamente con “Umbertaricchio”: «Dice eee se venivo io, te lo dicevo io se non scendevo là sotto? Perché non sei venuto gli ho detto io che poi ti facevo scendere io là sotto… a modo mio, gli dissi, però! Disse eh che facevi? Fottitene perché non sei venuto tu gli dissi io» (cosa impossibile in quanto Bellocco in quel momento era in libertà vigilata) , e poi ancòra: «Vuoi che andiamo adesso da qualche parte e vediamo se non ti faccio andare in qualche posto adesso?».
Professionista. E ‘ndranghetista?
Un profilo davvero particolarissimo viene attribuito al commercialista Tiberio Sorrenti. Una sorta di professionista al soldo del clan Pesce, ma che era qualcosa di più, un intraneo vero e proprio alla ‘ndrina, secondo gli inquirenti.
In qualità di «partecipe del sodalizio», si legge nelle 1.540 pagine dell’ordinanza, «offriva la propria specifica competenza alla cosca al fine di far ottenere, avvalendosi della forza di intimidazione che ne promana, il controllo e la gestione di tutte le attività economiche connesse all’attività della distribuzione alimentare gestita dal gruppo Cambria». Questo, con tutt’una lunga serie di condotte illecite specifiche che gli vengono contestate: «Si prestava alla tenuta delle scritture contabili alle ditte fittiziamente intestate a terzi soggetti, ma riconducibili alla cosca Pesce; metteva a disposizione il proprio studio commerciale quale luogo privilegiato di incontro per affrontare questioni d’interesse della cosca e degli affari illeciti da questa perseguiti; svolgeva un rilevante ruolo d’intermediazione, tra i promotori del sodalizio criminale e Rocco Cambria, referente del gruppo Cambria e dunque di sovrintendente e controllore dell’accordo (e delle successive variazioni) intercorso tra i componenti della cosca Pesce (e in particolare, Pesce Antonino cl 82, Pesce Savino cl 63, Pesce Vincenzo cl 52, Pesce Francesco cl 78, Iannace Giuseppe) e della cosca Cacciola (ed in particolare Cacciola Giovanni Battista) da un lato e Rocco Cambria dall’altro, volto a consentire alla cosca Pesce di gestire in modo monopolistico il settore della logistica trasporti collegata alla Cambria Spa e alla cosca Cacciola di poter disporre della dazione di una somma di denaro in dicembre e giugno di ogni anno, a al gruppo Cambria di ottenere protezione e sicurezza per l’espletamento della attività di gestione dei supermercati in territorio ricadente sotto l’egemonia delle suddette ‘ndrine, con il compito di adottare una soluzione “contabile” all’incremento dei tariffari imposto dai Pesce».
E sempre Sorrenti, stando alla Direzione distrettuale antimafia reggina, «fungeva da cassiere del provento derivante dal predetto aumento o da introiti estorsivi e curava in prima persona il sollecito dei pagamenti o la richiesta di anticipo degli stessi rispetto al termine stabilito; dirimeva personalmente eventuali rivendicazioni di altri appartenenti all’organizzazione criminale senza l’intervento del gruppo Cambria; più in generale, si metteva a completa disposizione degli interessi del sodalizio, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo».
Volendo riassumere l’ipotizzato ruolo di Tiberio Sorrenti, «secondo la prospettazione accusatoria, il Sorrenti avrebbe il compito, interno all’organizzazione, di occuparsi della gestione delle interessi imprenditoriali della cosca e in particolare d’individuare le soluzioni strategicamente piu idonee alla realizzazione dei predetti interessi imprenditoriali e di consentire alla ‘ndrangheta di avere rapporti con imprenditori ad essa esterni per la gestione dei settori collegati alle aree economiche d’interesse e di assoggettarli al suo potere».
Gdo, l’ascesa dei Cambria
In particolare l’imprenditore Rocco Cambria, «mosso dal doppio binario di ottenere, da un lato, la “tranquillita” di poter operare in Calabria e dall’altro la sicurezza di non avventurarsi in rapporti imprenditoriali “compromettenti”, s’impegnava a conferire a una ditta di autotrasporti apparentemente “pulita” e “affidabile”, ma in realtà ben voluta dalla cosca Pesce, l’intero settore dei trasporti su gomma relativi al proprio centro di distribuzione. Tale ditta evidentemente di “comodo”, dal conto suo, aveva l’obbligo imposto dalla cosca di affidare le singole commesse (i camion) alle ditte (padroncini) ben volute dal sodalizio che, in tal modo, si assicurava, attraverso una gestione monopolistica del settore dei trasporti, un incremento del potere economico e del prestigio criminale sul territorio. Grazie al contributo dei collaboratori di giustizia, perfettamente riscontrato da alcune delle acquisizioni investigative, si e pero compreso che tale affare costituiva solo uno parte del più ampio accordo stipulato con la ‘ndrangheta dal gruppo imprenditoriale siciliano, e che coinvolgeva (quanto meno) anche la famiglia CACCIOLA, cui venivano corrisposte periodicamente delle somme di denaro in quanto i locali dello spaccio alimentare in Rosamo ricadevano sotto la zona di influenza della stessa. Il tutto – si precisa – si definiva sotto la costante regia di Tiberio Sorrenti, commercialista e uomo di fiducia della famiglia di ndrangheta Pesce».
Elementi “deviati” delle forze dell’ordine
Nell’inchiesta avrebbero un ruolo pure alcuni non meglio precisati elementi delle forze dell’ordine “deviati”. Che sarebbero responsabili «non di condotte tali da poter portare a formulare nei loro confronti accuse d’associazione a delinquere di stampo mafiosa», precisa Gaetano Paci, ma di omissioni e rivelazione di segreti d’ufficio «però non inerenti quest’indagine, che invece ha retto benissimo», rimarca orgogliosamente il procuratore aggiunto.
Salvatore Cucinotta, nello specifico, è indagato «perché induceva un pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio, allo stato non identificato, a rivelargli in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio notizie oggetto di segreto investigativo relative alla pendenza d’indagini nei confronti di Sorrenti Tiberio», ancòra lui.
«Forse ci sono accertamenti»: così il soggetto indicato come il finanziere in congedo Vincenzo Cucinotta avvisa Sorrenti, facendogli presente che ci sono di mezzo i Carabinieri e che probabilmente la cosa sta accadendo per via di confidenti, perché «c’è gente che non si fa i cazzi suoi». All’epoca, la notizia delle indagini della Sezione anticrimine del Ros (Raggruppamento operativo speciale) dei Carabinieri di Reggio Calabria su Sorrenti era coperta da segreto investigativo perché, si annota, «la verifica fiscale era stata effettuata solo da militari della Guardia di Finanza». E Cucinotta in qualche modo lo rimarca: «Statti tranquillo, compare, perché lui mi ha detto… io ti dico queste cose, però tu a lui non gliele devi dire! … mi ha detto “guarda qua c ’è questo, questo e questo”…».
Per parte sua, Sorrenti sbotta, cercando di persuadere Salvatore Cucinotta della propria totale estraneità rispetto a eventuali affari illeciti: «…è vergognoso questo paese di merda! Io per… se volevo fare affari con loro, ne facevo quanti ne volevo! … che me ne hanno proposti di tutte le maniere affari!».