Il circo capovolto. La magia dello “szerelem” in una epopea famigliare

Il circo capovolto. La magia dello “szerelem” in una epopea famigliare

Emanuela Giorgianni

Il circo capovolto. La magia dello “szerelem” in una epopea famigliare

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domenica 18 Febbraio 2024 - 09:39

Uno straordinario Andrea Lupo scuote e commuove il pubblico del Teatro dei 3 Mestieri

MESSINA – Una sola voce capace di costruire un mondo.
Una sola voce a narrare la storia individuale di un uomo che si intreccia, si confonde e si trasforma nella Storia universale dell’umanità.
Una sola voce a scuotere, turbare, ferire, commuovere, fare star bene.
Una sola voce a rendere tangibile la magia dello “szerelem”.

Szerelem” è un termine ungherese che noi traduciamo, non troppo propriamente, come amore, szerelem è l’amore, ma è anche la speranza, l’umanità.
Pur nel forte dolore che racconta e fa provare, il filo conduttore de Il circo capovolto, al Teatro dei 3 Mestieri, è proprio la celebrazione di questo “szerelem”, il suo trionfo, nonostante qualsiasi tragica asperità.

Andrea Lupo è straordinario, in una prova d’attore eccezionale, che ormai da 10 anni conquista e scombussola il pubblico di tutta Italia. Lo spettacolo – tratto dal romanzo di Milena Magnani e nato da un percorso di ricerca realizzato insieme all’autrice – è già stato vincitore, infatti, del Roma Fringe Festival edizione 2017 per la migliore drammaturgia, miglior attore e premio del pubblico; del Palio Ermo Colle 2020 (Premio del Pubblico); del Premio Mauro Rostagno 2021 (Premio del Pubblico) e premiato al Catania Off Fringe Festival 2022.

Andrea Lupo, accompagnato solo dalla sua voce e da una scatola chiusa, dopo il grande successo dello scorso anno, torna, quindi, al Teatro dei 3 Mestieri, per dar vita nuovamente a Branko e alla sua odissea.

Con il suo marcato accento straniero, Branko, fuggito dall’Ungheria, arriva in Italia e si rifugia in un campo rom. Con sé porta dieci scatole, queste racchiudono tutto ciò che rimane del Kék Cirkusz (il circo azzurro), famoso circo appartenente a suo nonno Nap’apò.

Branko, nel raccontarsi, racconta anche la storia del nonno, da cui parte la sua. Due generazioni di rom diverse, quella di Branko finita nei campi rom delle periferie delle grandi città e quella del nonno, rinchiusa nei campi di concentramento.

Così la storia di nonno e nipote si intreccia alla grande Storia che ci riguarda tutti, quella del passato, della Seconda Guerra Mondiale e delle persecuzioni naziste, e quella del presente, dei campi rom parte ma sempre a parte della nostra società.

È una storia di dolore, di sette coltellate alla schiena come sette sono le lampadine a semicerchio presenti sul palco e sette i giorni che l’anima, secondo le credenze popolari rom, impiega a vegliare sul corpo prima di attraversare il ponte nero della morte. Ma non è solo una storia di dolore, è anche una storia di amore e di speranza. La magia dello szerelem è ciò che il circo del nonno voleva portare nel mondo, desiderio che alcuni piccoli protagonisti decideranno di proteggere e custodire ancora.

Sette (numero speciale sia per la cultura del circo sia per quella Rom) sono, infatti, anche i bambini cui Branko racconta la sua storia, che lo guardano incantati, curiosi, sognanti, capaci di sperare ancora in mezzo alla disperazione. Saranno loro a costruire per Branko un nuovo circo capovolto.

E con quegli stessi occhi incantati guardiamo anche noi Andrea Lupo, ascoltiamo la sua voce accompagnata soltanto da musiche e attenti giochi di luce capaci di scandire i momenti.

Le sue parole disegnano chiaramente dinanzi a noi le atmosfere e le emozioni raccontate. Durante lo spettacolo, Lupo chiede di chiudere gli occhi e immaginare; ci si dimentica a lungo, allora, di riaprirli, persi tra le vivide, precise, dettagliate immagini che la sua voce crea nella memoria giocando con la fantasia.

E così come Branko passa ai bimbi il testimone, tutto il pubblico si sente incaricato dello stesso dovere, della stessa responsabilità di proteggere quello szerelem. Perché tutti ne hanno bisogno almeno un po’ e, come diceva il nonno Nap’apò, “è meglio lo szerelem del pane”.

Il circo capovolto è in grado, davvero, di slacciare ogni nostra cintura di sicurezza – come si auspicano in apertura gli spettacoli del Teatro delle Temperie – per lasciarci andare all’emozione, per decollare in un viaggio fatto di memoria e immaginazione, odio e amore, confessione e colpi di scena, passato e futuro, lacrime e risate.

Il circo capovolto, facendoci male con la forza dirompente del suo sentire, riesce anche a risolvere qualcosa dentro di noi, a sciogliere i nodi più profondi della nostra anima, a cambiarci.
Tra gli infiniti applausi che faticano ad arrestarsi, ci sentiamo diversi, in qualche modo spogliati di ogni sovrastruttura e più vicini all’altro e alla meravigliosa ricchezza della sua diversità.

La prima cosa di cui sentiamo il bisogno al termine di tale cammino è ripeterlo, rivivere quell’epopea, tornare ad ascoltare quella sola voce ancora una volta, per non uscire dal mondo da questa tracciato e comprenderne sempre di più ogni sfumatura, ogni dettaglio.

Liberamente tratto dal Romanzo di Milena Magnani

Di e con Andrea Lupo

Diretto da Andrea Paolucci

Produzione Teatro delle Temperie in collaborazione con Teatro dell’Argine

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