Fa discutere la richiesta della Cassazione di rivedere la condanna all'egastolo del compagno. Ed è importante insistere sugli aspetti culturali ed educativi
Sul piano mediatico è diventato il caso dello “stress da Covid” come possibile attenuante per un femminicidio. L’omicidio di Lorena Quaranta è tornato ad avere un rilievo nazionale. Aveva 27 anni quando è stata uccisa dal compagno, nella loro abitazione di Furci Siculo, il 31 marzo 2020. Era nata a Favara, nell’Agrigentino, e si stava per laureare in Medicina all’Università di Messina. A fare discutere è stata la Cassazione. La I sezione ha chiesto ai giudici di secondo grado di rivedere la condanna di Antonio De Pace, valutando la possibilità di concedere le attenuanti generiche. L’infermiere è stato condannato all’ergastolo in primo grado, verdetto confermato lo scorso luglio. Se le attenuanti dovessere essere concesse, De Pace potrebbe evitare il carcere a vita. Sarà adesso la Corte d’Assise d’appello, in diversa composizione, a occuparsi nuovamente del processo.
Sul tema sono intervenuti con forza i Centri antiviolenza. In particolare, il Centro antiviolenza “Al tuo fianco” annuncia un’iiniziativa di protesta proprio a Furci Siculo, lì dove è avvenuto il delitto, in una data che sarà presto comunicata. Sottolinea l’avvocata Concetta La Torre: “Adesso più che mai è necessario ribadire l’importanza di un radicale rifiuto di ogni forma di giustificazione di condotte che costituiscono efferati delitti. L’orientamento della Cassazione ci sconvolge perché legittima un pericoloso precedente sulla base del quale qualsiasi situazione di stress e di particolare angoscia, fonte di disagio, con la “contingente difficoltà di porvi rimedio”, potrebbe costituire fattore tale da incidere sulla misura della responsabilità penale. In un Paese in cui l’incidenza della pandemia è stata ignorata, per quanto riguarda gli effetti sulla salute mentale dei giovani, non si può non rimanere indignati allorquando viene invece inspiegabilmente considerata come possibile circostanza attenuante per un femminicidio. Il Centro antiviolenza Al tuo fianco vuole denunciare esplicitamente il pericolo che questa sentenza può costituire, per la violazione dei diritti delle donne, vanificando così il lavoro che tutti i Centri nazionali hanno svolto e continuano a svolgere in questi anni”.
“Ansia da Covid o brutalità patriarcale?”
Sull’argomento, ponendo l’accento sul piano culturale, interviene pure Rifondazione comunista, con Stefania De Marco, segretaria del circolo “Lidia Menapace”, nella costa ionica messinese, e Nicola Candido, segretario regionale in Sicilia: “Il padre di Lorena ha dichiarato che “il Covid con questa storia non c’entra niente. La verità è che lui aveva un complesso di inferiorità”. E noi di Rifondazione siamo d’accordo: Antonio De Pace non era in preda a un raptus psicotico quando ha ucciso Lorena in una villetta di Furci Siculo. De Pace era ed è semplicemente, brutalmente, un altro figlio del patriarcato. Lo racconta il suo efferato delitto. Il fenomeno del patriarcato, con le sue logiche di potere e sopruso, con il suo incedere prevaricante nella mente, nel linguaggio, nei comportamenti, non può mai essere considerato come “attenuante generica”, come alibi per la responsabilità individuale”.
Il femminicidio e la necessità di un costante lavoro educativo e culturale
Continuano gli esponenti di Rifondazione comunista: “Tuttavia, se continuiamo a gettare il sasso oltre il recinto, a differire la vera causa di questo malessere diffuso e troppo spesso letale, non riusciremo mai a porvi rimedio. Non solo il femminicidio ma anche le motivazioni di questa sentenza sembrano inscriversi in uno scenario specifico, di profondo radicamento del fenomeno nel substrato socioculturale del nostro Paese e se ne possono cogliere tutte le implicazioni politico-sociali: Lorena è stata uccisa due volte. È nell’alveo della prospettiva del patriarcato, che porta con sé le discriminazioni di genere, gli stereotipi sulle donne, la divisione di ruoli e l’esistenza di relazioni di potere disuguali tra donne e uomini, invece, che dobbiamo restare e da qui partire con consapevolezza e determinazione per tentare di decostruirla. Tutt* insieme, perché siamo tutt* coinvolti”.
Ques’ultimo aspetto, che invita a un coinvolgimento collettivo, è ancora più importante perché, al di là delle sentenze, esiste un problema culturale ed educativo. E che va affrontato a tutti i livelli, a partire dalla formazione, sin dai primi anni di vita. Il caso sollevato in questi giorni, con al centro Lorena Quaranta e il dolore senza fine dei suoi genitori, potrà servire se non si dimenticherà la necessità di un enorme lavoro sul piano affettivo e dell’educazione sentimentale. Un lavoro educativo e culturale, a favore di relazioni sane, che risulta fondamentale. Oggi e sempre.