Il negazionismo sociale in epoca Covid: la realtà oggettiva tra Johnny Dorelli e la Norvegia.

Il negazionismo sociale in epoca Covid: la realtà oggettiva tra Johnny Dorelli e la Norvegia.

Elisabetta Marcianò

Il negazionismo sociale in epoca Covid: la realtà oggettiva tra Johnny Dorelli e la Norvegia.

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venerdì 16 Ottobre 2020 - 11:45

Social, realtà e negazione al tempo del covid.

Il processo di globalizzazione e di indifferenziazione, spinto dai regimi economici e mass-mediatici attuali, si è rivelato una macchina da guerra inarrestabile fino all’ingresso del secondo decennio di questo nuovo millennio, si ferma frantumata e divelta da un pacchetto di RNA delle dimensioni comprese tra gli 80 e i 160 nm, che di fatto rientra non tra i virus letali in se, immaginate che olocausto senza precedenti avrebbe creato, ma tra quelli influenzali, però ad altissimo contagio. Cosa ha messo a nudo del nostro processo evoluzionistico psicosociale?

Quel che è, agli occhi attenti di chi guarda le fragilità dell’uomo, evidente:

andiamo troppo veloce – siamo troppo ammassati – siamo troppo vulnerabili al “contatto”.

Seppur reduci da mesi di “chiusura” programmata, al rientro dei tempi e dei modi consueti siamo tornati immediatamente ad esser spinti dalla frenesia di accalcarci nelle metropoli, di ritrovarci nei luoghi in cui vanno tutti perché è glamour, di assistere a tutti gli appening socio-conviviali che vi vengono offerti perché bisogna “godere del momento” ed arraffare tutto, per sentirci completi e pieni di “esperienze”, il più possibile…come nulla fosse accaduto, tra Marzo ed Aprile.

La facilità con la quale ci contattiamo sui social è la stessa con la quale rappresentiamo a noi stessi la possibilità di relazionarci, per nulla paghi delle bare di Brescia e Bergamo:

tutto senza recinti – tutto senza tempi – tutto senza “protezioni”.

Cosa ci può, anzi del tutto ci deve insegnare questa esperienza? A ri-significare la distinzione tra spazio fisico e spazio virtuale, a dare specificità alle dimensioni nelle quali incontrare l’ alterità, a scegliere le persone da incontrare nella vita e tenerle nel nostro spazio vitale (30-40 cm secondo il Journal of Neuroscience), a riprogettare cortili condominiali anziché parcheggi per le auto dove poter fare incontrare i nostri figli, a partecipare in modo responsabile a ciò che avviene intorno a noi, ognuno per spazio d’ azione che ha, rispettando ruoli e modi, perché i ruoli sono una chiave imprescindibile per non vivere di ansie e psicosi sociali ed abbandonarsi a percezioni soggettive, non delegando a dei semplici post la possibilità di sentirci liberi di aver dato…ma contribuendo, nella modestia di riconoscerci particelle infinitesime di insiemi.

L’ esperienza “coronavirus” continua a fornirci infatti la possibilità di una riflessione importante su un piano antropologico ed esistenziale: è necessario riscoprire la dimensione dell’ “oggettività” intesa come spazio comune e collettivo, luogo in cui si dipana una realtà incontrovertibile, a scapito della soggettività come espressione di un processo unicamente individuale, e pertanto sostenibile sol perché orientata da bisogni a cui ci si sente il diritto/dovere di rispondere, prescindendo da ogni evidenza esterna.

Ed è ancor più pregante una riflessione del genere, a margine della posizione negazionista che molte persone (si badi bene, anche sedicenti intellettuali e/o performer di schermi televisivi di in dubbio valore in passato, ora meno), nella completa e totale assenza di esame di realtà, testimoniano e issano a vessillo contro paranoiche interpretazioni complottistiche che neanche a Cluedo (rito di svezzamento dei più grandi indagatori di qualche generazione fa) sarebbero risultate verosimili.

Le evidenze ci rappresentano un dato incontrovertibile: le nostre zone di confort sono saltate, i processi d’ansia e le dinamiche ossessivo-compulsive in escalation esponenziale quali fattori soggiacenti modus operando comportamentali elicitati ed alimentati dalla destabilizzazione di una fase interlocutoria, quella attuale, che forse ancor più del primo lockdown rischia di seminare incertezza costituzionale nell’ atteggiamento con cui fronteggiare la risalita COVID. E mentre ci si affanna a sperimentare vaccini, e a riallestire reparti dedicati visto il rebound di contagi (7332 nuovi contagi, numero più alto dall’ inizio dell’ emergenza, a fronte dei 152.196 tamponi effettuati), mentre nel mondo diverse nazioni ridisegnano chiusure necessarie per arginare momenti di criticità estremi, più di qualcuno pensa in Italia che sia improponibile invitare meno di 6 persone a cena: d’ altra parte siamo o no il Paese che canta “aggiungi un posto a tavola”? Ma forse, anche in questo caso, qualche negazionista direbbe che non fu Johnny Dorelli a cantarla, ma un boscaiolo norvegese di nome Olaf (ad oggi 15888 contagiati e 277 morti in Norvegia)…forse davvero il Covid si fa burle di noi, poveri complottisti.

Vincenzo Maria Romeo

Psichiatra Psiconalista

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Un commento

  1. Testimonianza che condivido pienamente.
    Grazie

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