Il nodo: Ambra Angiolini in un capolavoro di struggente dolore senza risposta

Il nodo: Ambra Angiolini in un capolavoro di struggente dolore senza risposta

Emanuela Giorgianni

Il nodo: Ambra Angiolini in un capolavoro di struggente dolore senza risposta

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giovedì 16 Marzo 2023 - 08:30

Perturbante e doloroso. Il nodo, con la regia di Serena Sinigaglia, lascia senza fiato il Teatro Vittorio Emanuele

Il nodo gordiano è un nodo indistricabile. Impossibile da sciogliere. Così era il nodo con il quale Gordio – che gli dà il nome – stringeva il giogo al timone del carro consacrato a Zeus. Non riuscendo a slegarlo in alcun modo, Alessandro Magno lo spezzò con la sua spada.

Ci sono davvero nodi che non possiamo in alcun modo sciogliere, che non ci lasciano altra possibilità se non tagliarli di netto?

Nodi così stretti metteranno in crisi il pubblico del Teatro Vittorio Emanuele, ne Il Nodo (il titolo originale è proprio “Gidion’s Knot”, in un gioco di richiami tra il nome del ragazzino protagonista della narrazione Gidion e quello di Gordio). Il testo di Johnna Adams, grande successo americano, tradotto da Vincenzo Manna e Edward Fortes, arriva al Teatro di Messina con la regia di Serena Sinigaglia, che ha voluto come sue protagoniste Ambra Angiolini e Arianna Scommegna.

Il nodo

Ci troviamo in un’aula di scuola. È l’ora dei ricevimenti. Un’insegnante di una classe di prima media, Haether Clark (Scommegna), è tesa, aspetta una telefonata che non arriva mai; quando al colloquio si presenta Corryn Fell (Angiolini), madre di un suo allievo. Heather non aspettava la sua visita, non pensava si potesse svolgere in quel momento. Ma Corryn è lì. Gidion, suo figlio, è tornato a casa pieno di lividi, dopo essere stato sospeso. E da mamma, lei si domanda: perché?

Corryn cerca disperatamente delle risposte in un dialogo, per nulla facile da affrontare. Ha bisogno di sciogliere questo nodo, è tutto ciò cui riesce ancora ad aggrapparsi. Perché, come conseguenza del fatto, suo figlio – scopriremo nell’avanzare della storia – ha commesso qualcosa di tragicamente irreparabile.

Ma Gidion è solo vittima di una atroce vicenda o è, anche, brutale carnefice?

Una battaglia senza vincitori

Solo in quel confronto durissimo, le due donne cercheranno di dare un senso al dolore, allo smarrimento e al loro reciproco, soffocante, senso di colpa.

Haether e Corryn sono due figure tragiche e, come nelle grandi tragedie, le loro domande pongono interrogativi assoluti e in conflitto. “Quali sono le responsabilità educative dei genitori e quali quelle delle istituzioni nei confronti dei figli? Di chi è la colpa se i nostri figli si trasformano in vittime o carnefici? Com’è possibile che si possa scatenare una violenza tale da indurre un ragazzo o una ragazza ad uccidersi? Dove sbagliamo? Chi sbaglia? Di chi è la responsabilità?” si chiede Sinigaglia tra le note di regia.

Gli interrogativi delle due donne ci destano tutti, come individui e come società, dal torpore nel quale proviamo a nasconderci. La loro sconfitta è quella di tutti noi. Le loro responsabilità le nostre. La loro pena la nostra.

Haether e Corryn, nelle loro differenze inconcilibiali e nei loro comuni dolori, scendono sul campo di battaglia, si fronteggiano in un cammino doloroso di attacchi, difese, punti di incontro e nuovi scontri, senza nessuna vittoria finale, solo una più gravosa sconfitta. Nella loro battaglia alla ricerca della propria personale salvezza, una sola è la voce che manca: quella di Gidion, che non potranno più ascoltare.

La scenografia

Avvolta da un buio senza forma, la scenografia è la grande protagonista dello spettacolo. Similmente alla storia, anch’essa è un campo di battaglia.

Un’aula di prima media si trasforma in un luogo di guerra, banchi e sedie diventano trincee su una struttura non lineare, ma rigonfiata, tridimensionale. Il pavimento è sfasato, deformato, creando una collinetta su cui sono sistemati i banchi. Niente cattedra e niente pareti, solo un oggetto in scena: un nodo gordiano poggiato sul banco dell’unica ragazzina che sembra aver capito e difeso Gidion.

Questa atmosfera quasi fluida, elastica, mi ricorda un po’ anche gli orologi in liquefazione di Salvador Dalí, ne La persistenza della memoria. Ad accentuare questo clima di sospensione dallo spazio e dal tempo è, infatti, un incessante ticchettio di orologio, un tic toc che batte, poi si ferma, poi riprende. Su questa scansione da metronomo del tempo, le due protagoniste si muovono su e giù nel palcoscenico, esprimendo tutta la loro intensità emotiva. I loro spostamenti sembrano mosse di scacchi, ma chi riuscirà a fare Scacco Matto alla fine?

Similmente alla storia, anche la scenografia si rivela pian piano. Corryn ribalterà tutti i banchi, rovescerà ogni cosa, solo il banco di suo figlio resterà inviolato, evidenziandone, nella distruzione generale, la posizione precisa: il banco è in cima alla collina che l’aula costituisce. La collina è il luogo da cui i poeti osservano il mondo, Gidion lo scrive in un suo tema al centro di tutta la narrazione, un tema che ci pone un’ulteriore domanda: quale è il limite tra violenza e arte, quale è il confine tra brutalità e sfogo letterario? 

Nella collina, Gidion trova il luogo sicuro da cui poter descrivere e comprendere l’uomo, insieme agli amati poeti con i quali la mamma – professoressa di Letteratura all’Università – l’ha cresciuto. “Vado a raggiungere i poeti” scriverà nel suo biglietto d’addio.

Un capolavoro senza speranza?

Una grande prova d’attore. Ambra Angiolini e Arianna Scommegna sono incredibili sul palco, disperate e forti, struggenti e crudeli. Angiolini ci stringe in un nodo di emozione e dolore dal quale non troviamo via d’uscita, ci porta nell’abisso di disperazione del suo personaggio, ci toglie il respiro.

Il nodo è uno spettacolo che fa stare male, che contorce e ferisce, è crudele e impietoso nel suo dramma senza via d’uscita. Ma nel modo di farlo è geniale, con un testo senza alcuna retorica, una regia elegante, capace di cogliere il cuore delle cose nella sua essenzialità.

Ma resta una speranza in mezzo a tanto dolore? Si riesce a trovare un senso, anche il più banale, per andare avanti? Una possibilità altra? Forse solo la speranza di riuscire, un giorno, a imparare a parlarsi anziché a combattersi, per provare a sciogliere in tempo i nodi, prima che si stringano a tal punto da diventare drammaticamente gordiani.

𝐃𝐚𝐥 𝟏𝟓 𝐚𝐥 𝟏𝟕 𝐦𝐚𝐫𝐳𝐨 𝟐𝟎𝟐𝟑

𝐈𝐋 𝐍𝐎𝐃𝐎

𝑑𝑖 𝐉𝐨𝐡𝐧𝐧𝐚 𝐀𝐝𝐚𝐦𝐬

𝑡𝑟𝑎𝑑𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝐕𝐢𝐧𝐜𝐞𝐧𝐳𝐨 𝐌𝐚𝐧𝐧𝐚 𝑒 𝐄𝐝𝐰𝐚𝐫𝐝 𝐅𝐨𝐫𝐭𝐞𝐬

𝑐𝑜𝑛 𝐀𝐦𝐛𝐫𝐚 𝐀𝐧𝐠𝐢𝐨𝐥𝐢𝐧𝐢 𝑒 𝐀𝐫𝐢𝐚𝐧𝐧𝐚 𝐒𝐜𝐨𝐦𝐦𝐞𝐠𝐧𝐚

𝑠𝑐𝑒𝑛𝑒 𝐌𝐚𝐫𝐢𝐚 𝐒𝐩𝐚𝐳𝐳𝐢

𝑐𝑜𝑠𝑡𝑢𝑚𝑖 𝐄𝐫𝐢𝐤𝐚 𝐂𝐚𝐫𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚

𝑙𝑖𝑔ℎ𝑡 𝑑𝑒𝑠𝑖𝑔𝑛𝑒𝑟 𝐑𝐨𝐛𝐞𝐫𝐭𝐚 𝐅𝐚𝐢𝐨𝐥𝐨

𝑚𝑢𝑠𝑖𝑐ℎ𝑒 𝐌𝐚𝐮𝐫𝐨 𝐃𝐢 𝐌𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝑒 𝐅𝐞𝐝𝐞𝐫𝐢𝐜𝐚 𝐋𝐮𝐧𝐚 𝐕𝐢𝐧𝐜𝐞𝐧𝐭𝐢

𝑎𝑖𝑢𝑡𝑜 𝑟𝑒𝑔𝑖𝑎 𝐆𝐚𝐛𝐫𝐢𝐞𝐥𝐞 𝐒𝐜𝐨𝐭𝐭𝐢

𝑟𝑒𝑔𝑖𝑎 𝐒𝐞𝐫𝐞𝐧𝐚 𝐒𝐢𝐧𝐢𝐠𝐚𝐠𝐥𝐢𝐚

𝑝𝑟𝑜𝑑𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝐒𝐨𝐜𝐢𝐞𝐭𝐚̀ 𝐩𝐞𝐫 𝐀𝐭𝐭𝐨𝐫𝐢 𝑒 𝐆𝐨𝐥𝐝𝐞𝐧𝐚𝐫𝐭 𝐏𝐫𝐨𝐝𝐮𝐜𝐭𝐢𝐨𝐧

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