No alla confisca dei beni, invece, per l'ex consigliere comunale di Milazzo Santino Napoli
MESSINA – C’è un primo provvedimento che “blinda” l’operazione Hera, l’inchiesta della Divisione centrale anticrimine della Polizia con al centro gli interessi di Giuseppe Busacca e gli affari con Santino Napoli. Il sequestro, stimato intorno ai 100 milioni di euro complessivi, è scattato a dicembre 2021 ed ora è arrivata la decisione del giudice.
Il Tribunale Misure di Prevenzione (presidente Silipigni) ha confermato la misura della sorveglianza speciale per 2 anni a carico di Busacca, noto per le sue attività con le coop sociali e ordinato la confisca dei beni a suo tempo sequestrati all’imprenditore di Milazzo, i conti correnti e i rapporti bancari intestati a lui e i familiari. Decisione diversa invece per i beni sequestrati all’ex consigliere comunale di Milazzo santino Napoli, Santino Napoli. Per lui il Tribunale ha detto no alla sorveglianza speciale ed alla confisca dei beni intestati a lui e ai familiari, sequestrati nel 2021.
Il business sospetto
L’inchiesta partiva dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sul ruolo di Santino Napoli come gestore del business delle sale ricevimenti e locali da ballo della zona, dove però c’erano gli interessi della famiglia mafiosa di Barcellona e sui rapporti con Busacca.
Il re delle coop, secondo gli investigatori, da moltissimi anni nel campo della pubblica assistenza e della formazione, titolare di numerose cooperative sociali, agricole e faunistiche (queste ultime allocate nell’area nebroidea), aveva, in realtà partecipato sin dall’inizio agli investimenti del sodalizio nel settore dell’accoglienza, giovandosi di erogazioni pubbliche conseguite con false fatture su operazioni inesistenti che gli hanno consentito di dragare i pubblici contributi derivanti da appalti per lo svolgimento di servizi socio-assistenziali a Messina, Milazzo, Taormina e numerosi altri Comuni messinesi, catanesi, sardi e romani.
Dalle coop sociali ai locali
I due avevano costituito una super società di fatto e strutture societarie piramidali destinate a dissimulare l’origine illecita dei capitali. Nel passaggio di denaro tra le società agricole e quelle di gestione della sala ricevimenti si concretizzavano, secondo gli investigatori, imponenti operazioni di riciclaggio, nascoste nei fallimenti di alcune società di capitali (alle quale ne sono subentrate altre con nuovi prestanome) rivelatisi operazioni di bancarotta fraudolenta, con lo scopo di spostare capItali all’estero. L’operazione è stata battezzata Hera dal nome della villa utilizzata per le attività di ristorazione.
Nelle difese sono stati impegnati gli avvocati Nino Favazzo, Salvatore Silvestro, Nunzio Rosso e Pietro Ruggeri.