Non guardava in faccia a nessuno e le sue intemperanze avevano preoccupato persino i genitori. Così Paolo Gatto si è guadagnato il carcere, dopo la sparatoria a Giostra.
Fino a ieri aveva la fedina penale immacolata Paolo Gatto. Ventidue anni Non un reato, una denuncia contro di lui, mai un arresto. Ma il cognome pesava a Giostra. Figlio di Giuseppe “Puccio”, storico reggente del clan capeggiato da Luigi Galli, dietro le sbarre da tempo, mai un segno di pentimento, per gli investigatori ancora in grado di dire la sua, anche se dal carcere, nelle vicende più importanti.
Giuseppe Cutè, invece, a 39 anni aveva già scontato una condanna a sei anni per l’operazione Arcipelago – scattata nel 2005, aveva portato in carcere anche l’oggi pentito Giuseppe Minardi, che insieme al fratello stava scalando le gerarchie del clan anche attraverso spregiudicati omicidi – aveva altre macchie sul “curriculum” ma una volta uscito, nel 2011, almeno sulla carta sembrava stesse rigando dritto. Invece c’era lui con il figlio del padrino, lo scorso 25 agosto, quando armati si sono presentati da Francesco Cuscinà. Subito dopo il fatto ha cercato di riconciliarsi con Cuscinà – raccontano le indagini sfociate nell’arresto di ieri – e in tutto il periodo successivo ha tenuto un atteggiamento molto cauto, per difendersi dagli accertamenti degli investigatori.
Ben altro temperamento sembra avere il giovane figlio del padrino, invece. Atteggiamento che probabilmente lo ha esposto ancora di più ai fari degli investigatori. E’ una testa calda irrequieta, sembra emergere dall’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Rosa Raffa.
Tanto da travalicare persino le consuete regole criminali. Come a gennaio scorso, quando incurante del fatto che il distributore di benzina di viale Giostra fosse di fatto di un’altra famiglia “importante” di Giostra, ha minacciato e rapinato l’addetto alla vendita, portandosi via l’incasso della giornata. Per questo episodio viene pesantemente redarguito dalla madre, alla quale non basta la risposta “ma io al dipendente ho rapinato, mica loro”.
La donna era preoccupata per l’atteggiamento del ragazzo da tempo. Si era messo in testa di prendere il posto del padre? Voleva a modo suo preservare il potere del gruppo di famiglia da altri emergenti? Sicuramente non aveva rispetto di nessuno e non temeva ritorsioni, altrimenti non avrebbe “messo nel mirino” una come Cuscinà con leggerezza.
I carabinieri nelle intercettazioni colgono diverse conversazioni tra madre e figlio dove traspare la preoccupazione della madre, sia per l’irrequietezza crescente del ragazzo che per il timore che qualcuno prima o poi gli potesse dare una lezione, rimettendolo a posto. “Tu ora te ne vai”, gli ha detto in sostanza dopo la rapina al distributore. E’ così che per alcuni mesi il ragazzo è stato lontano dalla città di Messina. Facendovi però ritorno questa estate, dove ha partecipato come da tradizione alla processione della Vara.
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