Incendi, i docenti della "Mediterranea": puntare tutto sulla prevenzione

Incendi, i docenti della “Mediterranea”: puntare tutto sulla prevenzione

Redazione

Incendi, i docenti della “Mediterranea”: puntare tutto sulla prevenzione

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sabato 14 Agosto 2021 - 18:14

I "prof" di Scienze agrarie e forestali del Dipartimento d'Agraria dell'Ateneo reggino: invano uomini e mezzi oggi vengono dirottati sullo spegnimento

Incendi, dopo la missiva firmata da due ex presidenti dell’Ente Parco a ribadire la crucialità della prevenzione, una nuova lettera – stavolta, di provenienza universitaria – sottoscritta da Giuseppe Bombino.
Insieme a lui, la sottoscrivono Fabio Lombardi, Pasquale Marziliano e Giuseppe Modica: tutti docenti dei corsi di laurea in Scienze forestali e ambientali del Dipartimento d’Agraria della “Mediterranea”. Che firmano quello che vuol essere «un contributo tecnico-scientifico» a un dibattito che ha imposto la propria urgenza a suon di danni terribili e di vittime.

Nessuna “formula segreta”

La prima cosa, se si vuol fornire un serio contributo d’idee, è sempre fare professione d’onestà intellettuale.

Ecco perché i docenti della “Mediterranea” chiariscono immediatamente: «Non vi è una ricetta preconfezionata che possa risolvere il problema degli incendi. Se affermassimo ciò, verremmo meno al nostro dovere primario di formare e informare intorno alla scienza e ai suoi progressi. Il problema è assai articolato e dev’essere affrontato attraverso un approccio integrato, attuando un complesso di azioni, misure, interventi ed attività, anche di ordine culturale».

Peraltro, si osserva, il climate change «suggerisce come l’argomento “incendi boschivi” non si possa considerare solo come un “problema estivo” ed esiga, semmai, una profonda revisione dei modelli e delle strategie sino ad oggi utilizzati, compresi i nostri atteggiamenti e stili di vita».

Prevenzione, unica salvezza

Nessuna certezza, dunque? Una, sì. «Gli incendi devono essere prevenuti. Non si affrontano in estate, ma a febbraio-marzo. +

Mezzo antincendio dei Vigili del fuoco in azione

È oramai dimostrato che nessun mezzo antincendio possa riuscire a spegnere un grande incendio forestale che, invece, si estinguerà solo quando non avrà più nulla da ardere», si legge tra l’altro in missiva. Ecco perché confidare nello spegnimento«è grandemente illusorio, alla stessa stregua del voler frenare un’alluvione contrastando la pioggia».

Cruciale dunque pianificare gli interventi. «Eliminando, ad esempio, una parte del combustibile a terra, su aree individuate con criteri scientifici, s’interromperà la continuità verticale del fuoco; ciò ridurrà la probabilità che si possa sviluppare un incendio di chioma, la cui evoluzione è ingovernabile».

Paradosso del fuoco e selvicoltura preventiva

Stando ai “prof” della Mediterranea, bisogna contemplare adeguatamente il paradosso del fuoco. «Le statistiche dicono che negli ultimi 20 anni gli incendi sono diminuiti di numero ma, al tempo, sono aumentati gli incendi devastanti, i cosiddetti grandi incendi forestali.

La gestione di questi grandi incendi non si affronta solo con la lotta alle fiamme. Questa strategia ha costi elevati e non mette al sicuro da stagioni estreme come quelle del 2017 e come questa del 2021.

Tuttavia, nonostante questi aspetti in ambito scientifico siano noti, la strategia di lotta agli incendi si basa ancora prevalentemente sulla estinzione del fuoco mediante mezzi terrestri ed aerei, mezzi che spesso non sono in grado di contrastare focolai multipli in condizioni metereologiche avverse, come in caso di forte vento. Attualmente, su 100 euro destinati alla gestione degli incendi, 90 vengono destinati allo spegnimento e 10 alla prevenzione. Tale strategia trascura un aspetto fondamentale, ossia le caratteristiche della vegetazione che predispongono ai grandi incendi.

Al contrario, un approccio che sia capace d’integrare l’estinzione del fuoco con azioni preventive di gestione del bosco, finalizzate a ridurre la continuità e l’infiammabilità della vegetazione in punti critici, secondo i dettami della cosiddetta ‘selvicoltura preventiva’, è senza alcun dubbio il sistema più efficace per mitigare il rischio, consentendo, allo stesso tempo, di rendere il bosco meno suscettibile ai grandi incendi e di far operare in modo più sicuro ed efficace i mezzi di estinzione».

Fuoco prescritto

Si tratta della strategia nota come fuoco prescritto, già applicata pure in altri ambiti del nostro Paese.

«La prevenzione selvicolturale – si evidenzia fra l’altro –, eliminando gran parte del combustibile radente e di superficie e la trasmissibilità del fuoco alle chiome degli alberi, limita lo sviluppo del fronte di fiamma, rende meno gravi gli effetti del fuoco e più facili le condizioni d’estinzione. Un incendio radente o di superficie può essere controllabile, un incendio di chioma è invece incontrollabile».

Fire management

«In un’ottica di moderna pianificazione sarà necessario passare dall’attuale strategia di gestione fire control, di tipo estintivo, secondo la quale il fuoco è da contrastare sempre e in qualunque luogo, con mezzi di estinzione sempre più numerosi e potenti, a quella basata sul fire management, che coniuga insieme estinzione e prevenzione – così i docenti della “Mediterranea” che sottoscrivono il documento –. Con questa impostazione gli incendi di piccola dimensione possono essere, per un determinato territorio, considerati fisiologici e quindi non dannosi. Si esclude nei loro confronti ogni forma d’intervento, e si pone invece particolare attenzione ai grandi incendi forestali, nei confronti dei quali è invece fondamentale la prevenzione. Nessun mezzo aereo e terrestre potrà infatti adeguatamente contrastare l’avanzare delle fiamme e spegnere un grande incendio forestale.

Occorrerà, inoltre, mettere mano ad un’oculata pianificazione del territorio agro-forestale che in molte zone del nostro Paese è spesso oggetto di abbandono.

Va recuperata la funzione di presidio ambientale operata dagli agricoltori sul territorio. E’ fondamentale costruire nuove occasioni di sviluppo affinché la cura del paesaggio agrario assicuri remunerazione adeguata a chi se ne occupa. L’abbandono di porzioni importanti del paesaggio agrario ha portato allo sviluppo di formazioni ‘post-agricole’ (arbusteti, boscaglie, ecc.) non ordinariamente gestite e assai suscettibili al passaggio degli incendi, spesso costituenti formazioni di frangia tra le aree agricole e quelle forestali ed urbane. Ed oggi, numerosi incendi interessano proprio queste aree di frangia, di interfaccia agricolo/forestale/urbano, i cui effetti nefasti sono noti».

Centralità dei “tecnici”

Urge però, secondo questi docenti del Dipartimento d’Agraria dell’Ateneo di Reggio, un «cambio paradigmatico nella pianificazione e gestione del territorio rurale (agricolo e forestale). Gestione ordinaria, pianificata e non dettata dall’emergenza del momento». Anziché, nota vagamente polemica, «invocare interventi speciali o straordinari (anche di tipo militare)» ovvero ingaggiare un’impari lotta contro gli incendi di chioma che, sia nei Paesi mediterranei sia negli Usa, «non funziona. Lo vediamo ogni anno», si fa presente.

A questo scopo però occorre dare centralità alle figure del dottore agronomo e del dottore forestale. In sostanza, a « Tecnici capaci d’individuare e distinguere fra regimi accettabili e regimi non accettabili degli incendi».
Di qui, l’auspicio che una figura di questo tipo «sia maggiormente rappresentata negli uffici e nelle strutture degli organi territoriali preposti ai vari livelli di governance».

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