Entra nel vivo il processo nato dagli accertamenti della DIA sui progetti solo sulla carta. Il Tribunale ha detto no al sindacato SLA come parte civile
Ci sarà soltanto il Consorzio autostrade come parte civile al processo sui dipendenti accusati di aver intascato gli incentivi progettuali illegittimamente. Il dibattimento si è aperto ieri pomeriggio davanti al Tribunale (presidente Scolaro, subentrata alla dott.ssa Grasso assente per motivi di salute), dopo una lunga parentesi dedicata alle eccezioni preliminari dei difensori, in buona sostanza quasi tutte rigettate, e alle richieste di costituzione di parte civile appunto.
Oltre all’ente di contrada Scoppo, aveva chiesto di essere ammesso tra le parti anche l’avvocato Graziella Franchina, dirigente Cas, per lo SLA, una delle sigle sindacali lavoratori autostrade tra le più battagliere. Ma il Tribunale ha detto no, rigettando la richiesta.
Il collegio si è poi riservato la decisione, che comunicherà alla prossima udienza, su un’altra questione importante per il processo: l’ammissione nel fascicolo delle tante intercettazioni telefoniche effettuate dagli investigatori nel corso delle indagini, per lo più nella stessa sede di contrada Scoppo. I difensori in particolare hanno eccepito alcune questioni procedurali , mancherebbero ad esempio le “autorizzazioni” alle intercettazioni, che il Pubblico Ministero ha annunciato produrrà alla prossima seduta.
Si torna in aula il prossimo 16 maggio, quindi, per sciogliere il nodo intercettazioni e sentire i primi testimoni. Al banco degli imputati ci sono una cinquantina di dipendenti finiti nel mirino della Procura per gli incentivi progettuali incassati a fronte di progetti, secondo i magistrati, inesistenti o inconsistenti, ai quali veniva contestato a vario titolo, i reati di peculato e falso ideologico.
Gli accertamenti della Direzione Investigativa Antimafia, coordinati dal sostituto procuratore Stefania La Rosa sfociarono nell’aprile 2017, nella sospensione delle funzioni per sei dipendenti e il sequestro ad altri sei ex dirigenti, non sospesi perché nel frattempo erano andati in pensione o erano tornati nelle loro amministrazioni d’origine.
La sospensione dall’esercizio pubblico, per la durata di 6 mesi, era scattata per il sindaco di Montagnareale Anna Sidoti, Antonio Lanteri, Stefano Magnisi, per Angelo Puccia, Gaspare Sceusa e Alfonso Schipisi.
Maxisequestro di beni, invece – quasi un milione di euro complessivamente – per il palermitano Carmelo Cigno, per il dirigente Letterio Frisone, per Carmelo Indaimo, per Antonino Francesco Spitaleri, per Antonino Liddino e per il siracusano Corrado Magro.
Gli investigatori, attraverso intercettazioni ambientali, hanno concluso che gli indagati usavano intascarsi soldi pubblici per la presentazione di progetti che, di fatto, esistevano solo sulla carta. Talvolta i progetti neanche esistevano, talvolta invece esistevano ma non venivano neanche portati a termine. Circa un milione 300 mila euro l’ammontare illecitamente incassato dai dipendenti, tra il 2012 e il 2013.