Siamo diventati dipendenti dai "simboli" e quando una star del firmamento antimafia cade restiamo esterrefatti
Il sequestro di 150 mila euro all’ex pm Antonio Ingroia, ex icona simbolo dell’antimafia e incappato nelle indagini dei colleghi nella sua qualità di commissario liquidatore della E-servizi, pone una serie di riflessioni.
L’inchiesta, che comprende anche un’ipotesi di accusa per peculato, riguarda la “seconda vita” di Ingroia, quella carriera politica che aveva immaginato fulminante dopo la fama delle sue gesta di giudice antimafia, ma che si arenò su una percentuale minima di voti nel 2013. Poco male, Crocetta che era assetato di simboli antimafia, lo mise alla guida del carrozzone siculo. Non ho sorriso nel leggere la notizia (né le altre inchieste che lo hanno riguardato) perché oggi più di ieri, sono garantista. Non mi è venuto da ridere nel leggere le sue dichiarazioni dopo il sequestro: “è una storia infondata, ho la coscienza a posto e lo dimostrerò”. Semmai lui avrà avuto un deja-vu, chissà quante volte da giudice ha sentito quella frase pronunciata da altri e ne ha sorriso.
Nel primo e unico incarico che l’Ingroia politico ha avuto grazie alla sua carriera antimafia ed alla sua fama di simbolo per la legalità, il commissario liquidatore del carrozzone, nominato alla E-servizi nel settembre 2013, appena pochi mesi dopo, luglio 2014 si autoliquidò, oltre allo stipendio annuale di 50 mila euro, altri 117 mila euro di indennità di risultato. Secondo i suoi ex colleghi giudici e secondo la norma un commissario liquidatore non può, giacchè il suo compito è liquidare la società, avere indennità di risultato che spetta solo a chi ricopre il ruolo di amministratore. I 117 mila euro aggiuntivi peraltro se li autoliquidò da solo, senza passare dall’assemblea. L’accusa di peculato riguarda invece i costi di ristorante e hotel a carico della società, anche se la norma prevedeva solo il rimborso per i viaggi.
Su facebook non posterò mai un articolo che riguarda l’inchiesta Ingroia con la scritta “condividi se sei indignato” sebbene devo aggiungere che non ho visto molti post al riguardo. Se invece che Ingroia fosse stato un esponente del Pd o del centro-destra lo avrebbero lapidato sui social per un mese.
Ma Ingroia non è Pd, non è di Forza Italia, non è “un nemico politico”. E’ un simbolo ed è un ex magistrato.
La prima riflessione riguarda la necessità di una riforma della giustizia, che l’Italia attende da troppi anni. Serve una giustizia giusta ed efficace, che non rimandi o demandi alle piazze, che abbia tempi europei, che separi finalmente le carriere, che riveda i termini della carcerazione preventiva, che garantisca i diritti della difesa, che non trasformi i gip in meri esecutori.
La seconda riflessione è figlia della prima e riguarda quei magistrati che, ancora in attività, entrano in politica. Quando un magistrato diventa politico resta sempre “giudice”, vedrà nei cittadini potenziali “imputati” e sé stesso come sempre al di sopra degli altri. Quando tornerà a far il giudice si porterà dentro il periodo politico, compresi eventuali sassolini dalla scarpa da togliersi. Se proprio un magistrato è “illuminato nella via di Damasco”, dovrebbe essere una scelta definitiva, o dopo la pensione oppure lasciando la carica di magistrato.
Nei giorni scorsi ho visto un episodio del commissario Montalbano nel quale un giudice in pensione ha deciso di rileggere i faldoni delle sentenze della sua vita per capire se avesse mai, almeno una volta, inconsapevolmente, sbagliato. Alla fine scopre che in un momento difficile della sua vita personale ha condannato per errore un innocente. Nell’episodio il giudice per il rimorso si toglie la vita, ma penso che il messaggio sia un altro: il giudice è un uomo e gli uomini possono commettere errori. Ingroia ha commesso errori da uomo politico. Non sappiamo se li ha commessi anche da giudice, ma questa possibilità, sia pure remota, impossibile, il nostro ordinamento deve contemplarla in modo adeguato.
Tornando al caso specifico c’è un simbolo della legalità che incappa in un’inchiesta ma questo non dovrebbe renderci “più” garantisti solo perché non è del Pd o del centro-destra. Non possiamo essere giustizialisti con chi ci sta antipatico e garantisti con i nostri amici. Negli ultimi mesi mi hanno colpito alcune storie. Le assoluzioni dell’ex colonnello Mori, di Contrada, dell’ex presidente dell’ Ars Cascio o ancora Cateno De Luca.
La storia umana di Bruno Contrada mi ha colpito profondamente.
Le sentenze di assoluzione e revisione del processo arrivano dopo l’intervento della Corte Europea dei diritti dell’uomo, dopo un calvario di oltre 25 anni durante il quale ha perso tutto. Nelle sue foto di oggi appare come un fantasma divorato dalla sofferenza. Eppure quelle sentenze di assoluzione ed il reintegro non bastano ai #giustizialistiforever che continuerebbero a condannarlo anche oltre la morte.
Nella nostra società non esiste veramente e fino in fondo il principio della presunzione di innocenza o del terzo grado di giudizio. Se entri nel labirinto di Minosse muori colpevole.
L’ultima riflessione è sui simboli. Quando un’icona passa dal “mito” alla vita reale, quella della politica, non può ritenersi al di fuori delle regole che la alimentano.
Stimo profondamente Giuseppe Antoci, un guerriero della legalità, ma non mi è piaciuto quanto accaduto dopo la legittima revoca del suo incarico come Presidente del Parco dei Nebrodi. Antoci è un esponente del Pd che Renzi ha voluto a livello nazionale. Ha combattuto la mafia, subito un attentato, ed è stato un grande presidente del Parco dei Nebrodi. Ma è una nomina a tempo ed è politica. E’ stato scelto come presidente proprio perché appartenente ad una parte politica. Musumeci, legittimamente, ha deciso di affidare l’incarico ad altri. Quel ruolo dipende da una nomina politica, non è un concorso o un premio per il migliore della classe. Invece c’è stato chi, dopo la revoca si è lasciato andare ad illazioni in base alle quali l’aver sostituito Antoci equivalga a favorire la mafia.
La lotta alla legalità non appartiene ad un solo partito o ad una ristretta cerchia di persone. Stiamo diventando troppo dipendenti dai simboli e dimentichiamo che quando un’icona esce dal “mito” e si fa reale perde quei connotati di simboli e diventa uomo. Il caso Ingroia, ma non è il solo, dimostra che ogni tanto qualche stella del firmamento cada. E’ la “caduta degli dei”.
Rosaria Brancato
Cara Rosaria, la stimo come giornalista ed apprezzo le sue doti di equità ed anche la sue convinzioni garantiste circa le note vicende in itinere che riguardano il Dott. Iingroia, persona seria ed onesta. Ma come ella ben sà quando qualcuno vuole mettere ordine e ripulire il marcio diventa subito bersaglio delle consorterie delinquenziali note nella nostra isola ormai come fatto storico ed endemico. “Tempo stretto “…. raggiunge tanti utenti nel web ma molti purtroppo leggono appena i titoli dei suo scritti e travisano la realtà facendosi cassa di risonanza presso “bar ed altri esercizi commerciali”….. di cose che in sostanza Lei non ha detto e che loro hanno capito male ma nel contempo nuocciono alla figura morale dell’ex Magistrato.