Omicidio Beppe Alfano, sentiti nuovi testimoni

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Omicidio Beppe Alfano, sentiti nuovi testimoni

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lunedì 10 Febbraio 2014 - 16:17

Il pm Vito Di Giorgio ha esteso le indagini andando oltre le richieste del Gip Vermiglio, dopo l'ennesimo no all'archiviazione, e sta ascoltando molti conoscenti del giornalista ucciso nel '93.

L’audizione completa di tutti i possibili testimoni delle attività e dei rapporti di Beppe Alfano; la lente di ingrandimento su tutti gli accertamenti svolti a caldo, nelle prime ore delle indagini, e negli anni seguenti. Non una accelerazione alle indagini, ma la chiara volontà di esplorare tutti gli aspetti possibili, per non lasciare nulla di intentato. Vanno avanti a tamburo battente e fanno registrare interessanti sviluppi le indagini sull’omicidio di Beppe Alfano, il cronista de La Sicilia da Barcellona Pozzo di Gotto ucciso l’8 gennaio di 21 anni fa. Sul tavolo della Procura di Messina c’è la così detta inchiesta ter, quella aperta su spinta della famiglia del giornalista e del legale, dopo che la prima indagine aveva prodotto due pesanti condanne, la seconda si è chiusa col proscioglimento dei sospettati. Il fascicolo è affidato al sostituto procuratore della Dda Vito Di Giorgio che ha chiesto per ben due volte l’archiviazione al Giudice per le indagini preliminari Maria Vermiglio. Nessuno degli spunti di indagine forniti dalla parte civile ha però trovato riscontri sufficienti per sostenere una accusa. Il Gip ha però per ben due volte rimesso il mandato agli inquirenti, chiedendo di approfondire aspetti specifici. Il sostituto Di Giorgio ha quindi chiesto agli investigatori di scandagliare tutti gli aspetti possibili degli ultimi anni di vita di Alfano, in particolare ovviamente la sua attività professionale. E proprio in questi giorni stanno sfilando una lunga serie di testimoni, colleghi e amici del giornalista, colleghi di scuola, dove lui svolgeva la professione di insegnante di educazione fisica, militanti come lui nelle fila della Destra di Barcellona, poi quelli che svolsero i primissimi accertamenti.
La famiglia del cronista, in primo luogo Sonia Alfano, presidente della Commissione Europea Antimafia ed il legale, l’avvocato Fabio Repici, ha sempre insistito sui mandanti occulti del delitto, per il quale sono stati condannati in via definitiva il camionista Antonino Merlino e il boss Giuseppe Gullotti. Per questo Repici si è opposto alla richiesta di archiviazione puntando tutte le carte delle parti civili su due aspetti: una comparazione balistica e l’esame di un brogliaccio di intercettazioni ambientali e telefoniche del 1993, l’anno in cui il boss catanese Nitto Santapaola avrebbe trascorso parte della sua latitanza fra Barcellona e Portorosa. La comparazione balistica fu eseguita dal Gabinetto regionale di Polizia scientifica di Catania su una pistola calibro 22. L’arma apparteneva a Fortunato Imbesi, figlio dell’imprenditore di Terme Vigliatore, Mario Imbesi. Nei giorni seguenti all’omicidio fu eseguita una perizia sulla pistola che fu comparata con i reperti trovati sul posto dell’omicidio, compresi i proiettili utilizzati per uccidere Alfano, anche quelli calibro 22. Gli accertamenti, comunque, diedero esito negativo. Il secondo aspetto per il quale l’avvocato Repici ha chiesto un approfondimento delle indagini è relativo all’esame di un brogliaccio. Nel libro sono contenute le trascrizioni delle intercettazioni ambientali e telefoniche finite nel fascicolo di un procedimento per il favoreggiamento della latitanza di Nitto Santapaola. Due imputati di questo processo vennero assolti in appello ed il terzo è deceduto ma una delle conversazioni, secondo la famiglia Alfano, riveste un’importanza particolare. Avvenne nell’ufficio di una ditta di trasporti di Barcellona. Le voci intercettate erano quelle di due barcellonesi e di una terza persona parlava in dialetto catanese e al quale gli altri due si rivolgevano chiamandolo Zio Filippo che, dunque, nel 1993 si trovava a Barcellona come ripetutamente sostenuto da Sonia Alfano e dal legale Fabio Repici. Non per niente, secondo la figlia del giornalista assassinato, l’omicidio fu ordinato perché Beppe Alfano aveva scoperto che Santapaola si nascondeva nell’hinterland di Barcellona. Una tranquilla latitanza protetta da persone insospettabili, probabilmente vicine alle istituzioni. Anche gli esponenti del clan del Longano inizialmente imputati per aver protetto la latitanza di Santapaola sono però stati assolti in via definitiva.

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