I dati forniti dal consorzio che si occupa del monitoraggio e dell'inserimento dei laureati nel mondo del lavoro, verranno presentati all'Exposanità, la fiera internazionale che si svolgerà a Bologna tra il 21 e il 24 maggio 2014
Nero su bianco i risultati dell’ultima indagine 2012 targata Almalaurea. Il consorzio interuniversitario che da anni opera nell’innovativo settore rivolto al monitoraggio e all’inserimento dei laureati nel mondo del lavoro, tira le somme dell’analisi capillare delle realtà didattico – lavorative dell’intero paese.
I dati – che saranno peraltro presentati in occasione della fiera Exposanità, la mostra di risonanza internazionale al servizio di assistenza e sanità che si terrà a Bologna, dal 21 al 24 maggio 2014 – hanno fatto luce su aspetti di precipuo interesse per il mercato lavoristico, sia dal fronte delle aziende che si accingono a vagliare la risposta alle loro esigenze di impiego di nuova forza lavoro, sia sul lato dei più giovani che avranno così modo di fare chiarezza in merito alle facoltà di studio suscettibili di offrire maggiori sbocchi impiegatizi sulla base delle competenze professionali più richieste.
Così – grazie alla consolidata doppia metodologia di rilevazione, basata sull’invio di questionari on-line e su interviste telefoniche a quanti non dispongano di un account di posta elettronica o non abbiano, nonostante i ripetuti solleciti, compilato tempestivamente il questionario inoltrato dal consorzio – sotto l’attento mirino di Almalaurea sono stati posti fattori determinanti quali la condizione occupazionale e formativa dei laureati di primo livello e non, gli eventuali tassi di disoccupazione, l’efficacia della laurea nelle branche di sapere interessate alle specifiche qualifiche conseguite, i tempi di ingresso nel mondo del lavoro nonché altri aspetti maggiormente legati al mondo universitario quali l’età di conseguimento della laurea, i voti riportati, i motivi di iscrizione a quel determinato corso formativo e, ancora, la durata degli studi, l’incremento delle competenze dovuto al transito dalla cattività di un percorso unicamente didattico alle problematiche del mondo del lavoro. Analizzati anche altri fattori non meno rilevanti quali il guadagno mensile di chi già impieghi il proprio titolo nello svolgimento di un’attività lavorativa nonché, per contro, le eventuali motivazioni che spingono chi pure ha conseguito un riconoscimento universitario di questo tipo, a non addentrarsi nella ricerca di un lavoro.
I risvolti dell’indagine, emersi in riferimento al gruppo disciplinare medico dell’Ateneo di Messina, hanno offerto quindi una chiara visuale del panorama universitario – lavorativo offerto dalla nostra città. Su un numero di laureati pari a 912 persone di cui solo 745 effettivamente raggiunti per l’espletamento dell’intervista preordinata dal consorzio, si è così constatato che la più alta percentuale di studenti riusciti a tagliare il traguardo finale del percorso didattico intrapreso nell’ultimo anno, è donna (61,6%), laddove solo il 26,8% degli studenti dell’altro sesso hanno raggiunto lo stesso risultato. Con una durata media degli studi di 3-4 anni, il valore intermedio del voto di laurea si attesta a 103,9/110.
Interessante anche il settore della formazione post laurea, sempre nel campo medico, dal cui vaglio emerge una chiara intenzione degli studenti di rafforzare competenze e qualifiche plasmate durante il percorso didattico (51,5%): di questa parte il 23,8% opta per lo svolgimento di un tirocinio o un praticantato, l’11,5% approda nelle scuole di specializzazione e un’altrettanta parte a stage in azienda, il 13,4% segue corsi di formazione professionale mentre solo il 5,8% si dedica a un master universitario (5,1% se si tratta di altre tipologie di master) infine un irrisorio 1,1% ha la fortuna di poter usufruire di una borsa di studio che garantisce lo svolgimento di un’attività.
In altre parole solo il 47,1% dei laureati in ambito medico dell’ultimo anno ha ottenuto uno sbocco impiegatizio mentre il 38% non vi è riuscito pur cercandolo, infine, il 9,1% svolge un corso universitario o un praticantato; il rimanente 14,9% invece non lavora per scelta.
Nonostante il predominio femminile all’interno delle mura dell’ateneo, la tendenza si inverte sensibilmente una volta varcate le soglie d’uscita dell’università, sicché tra i lavoratori laureati del 2012, a fronte del 51,5% di uomini, solo il 44,6% sono donne.
Cade lo stereotipo secondo cui l’attività intrapresa durante il corso di studi diventa compagna nell’approdo al mondo del lavoro, soltanto il 17,1% di soggetti prosegue infatti l’occupazione intrapresa durante il periodo di studi mentre è ben più prepotente il 72,4% di coloro che si avviano a intraprendere un’attività lavorativa solo dopo il completamento del corso formativo universitario e per reperire una prima occupazione occorrono almeno 3 – 8 mesi da quando si è iniziata una seria ricerca mentre 4 – 8 mesi dal conseguimento del titolo universitario.
Solo il 25,9% può contare su una tipologia di lavoro a tempo indeterminato mentre prende sempre più piede la classe dei lavoratori autonomi (17,4%), non rimane indifferente alle lusinghe di un contratto formativo uno scarso 2,8% mentre numeri più incoraggianti si hanno sul fronte del part time che impiega ben il 35,9% dei laureati dell’ultimo anno. Spopola il settore privato con il 67% di soggetti che vi operano, anche per intuibili ragioni di crisi che hanno interessato il Paese, solo il 23,4% riesce ad ottenere lo spesso ambito “posto pubblico”.
Riguardo ai settori di competenze che consentono di mettere maggiormente a frutto le specificità dei corsi d’insegnamento seguiti in ateneo, predomina quello della sanità che accoglie un non indifferente 74,1% dei laureati a fronte dell’appena 2,3% reclutati dalla pubblica amministrazione, forze armate comprese.
Si giunge, infine, al dato che maggiormente funge da cartina tornasole del welfare cittadino, gli introiti netti dell’attività svolta: primeggiano anche qui gli uomini con uno stipendio medio di 1.226 euro mensili, seguono a poca distanza le donne che mediamente guadagnano ogni mese 1.107 euro. (Sara Faraci)
Guardiamo ora l’altra faccia della medaglia: i laureati in medicina figli di docenti universitari o primari ospedalieri sono contemplati tra i “disoccupati” ? Non vi risulta che lavorano nello stesso reparto del congiunto o nelle immediate vicinanze? Basta fare uno” stato di famiglia in carta semplice” e si scopre il mistero.
Non tutti i figli di docenti universitari appartengono ad un sistema corrotto…. qualcuno lavora perchè è bravo…. e qualcun altro lavora a 1300 km di distanza da casa….
Essere figlio DI – non è sempre un demerito. spesso è un onore.
Certo ogni regola ha le sue eccezioni.