Sprechi siciliani. Le ACLI si oppongono: si seguano gli standard nazionali

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Sara Faraci

Sprechi siciliani. Le ACLI si oppongono: si seguano gli standard nazionali

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venerdì 07 Giugno 2013 - 10:05

Esagerate le percentuali di indennità di funzione concesse in Sicilia a vice sindaci, assessori e presidenti dei consigli comunali. Ignorati gli standard nazionali sulla base di un decreto del 2001 che non tiene conto delle mutate contingenze finanziarie

Spending review e politica di austerity dimenticate in Sicilia. E’ la conclusione alla quale l’Associazione Cristiana Lavoratori Italiani dei Nebrodi è giunta, a seguito di un’indagine sull’entità delle indennità di funzione corrisposte a vice sindaci, assessori e presidenti di consigli comunali all’interno della nostra regione.

L’accusa di avvalersi delle autonomie concesse dallo statuto speciale applicato alla regione siciliana per far lievitare vergognosamente i compensi per le più alte cariche dell’amministrazione nostrana, sono lanciate senza alcuna remora dall’ACLI dei Nebrodi, da sempre attente alla tutela del lavoro e dell’equità sociale.

A dar manforte alle constatazioni messe nero su bianco dall’organizzazione, che individuano nelle scelte finanziarie sinora operate “uno schiaffo per tutti i cittadini che ormai fanno fatica ad arrivare alla seconda settimana del mese”, una sfilza di dati ufficiali che, inconfutabilmente, registrano la discrasia tra gli standard adottati nell’isola e quelli seguiti invece presso tutte le altre regioni italiane.

Sprechi, disattenzione alle classi sociali maggiormente vessate da tagli alle spese sociali e dalla rigida chiusura dei cordoni della borsa pubblica, esigono, secondo l’ACLI, maggiore chiarezza su una questione sulla quale ormai non può più essere taciuto.

L’indennità di funzione – insiste l’associazione nel proprio comunicato – in base all’articolo 4 del D.M. 119 del 2000, assorbito anche dal regolamento dell’ANCI, dovrebbe risultare da un calcolo incrociato tra il numero di abitanti che popolano i singoli comuni e l’ammontare dell’indennità corrisposta al loro sindaco, acquisendo diverse variabili a seconda delle distinte fasce, su una scala che va dal 15% al 75% rispetto alla corresponsione concessa al primo cittadino.

Così il vice sindaco di un comune di 1000 abitanti, avrebbe diritto a un’indennità pari al 15% di quella del sindaco, per salire al 20% nel caso di comuni di 5000 abitanti, 50% in quelli registranti 10.000 abitanti sino a giungere alla massima percentuale possibile del 75%, nei maggiori centri con oltre 50.000 cittadini. Stessa equazione, sebbene con percentuali distinte, per gli assessori comunali nonché per i presidenti dei consigli comunali.

Un’architettura per le operazioni di computo che sembra totalmente essere ignorata dalla Sicilia, fedele, invece, a un decreto regionale in materia di indennità risalente al 2001, caratterizzato da una mancata rimodulazione che ne garantisse l’adeguamento alle mutate contingenze economiche.

Sicché i vice sindaci siciliani percepiscono un’indennità di funzione pari al 55% rispetto a quella concessa al sindaco per comuni sino a 40.000 abitanti. Come dire, in altre parole, che il vice sindaco di un comune con meno di 1000 abitanti, ha diritto a uno stipendio mensile che non si differenzia in nulla rispetto a quello di un vice sindaco di un comune che invece registra una popolazione di 40.000 persone.

Una sproporzione abissale che sembra farsi beffe dei principi di equità e giustizia ai quali la politica, in specie quella finanziaria, dovrebbe improntarsi e che, ancor più, mostra di ignorare deliberatamente la diffusa situazione di difficoltà economica in cui l’intero paese si dibatte e della quale sinora continuano a farne le spese gli stessi cittadini. (Sara Faraci)

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