Al via la prima edizione del festival di musica indipendente promosso dall'etichetta Leave Music. Questa sera a chiudere, Brunori Sas e DiMartino.
Indiegeno Fest è alla sua prima edizione, ma le idee e le linee di definizione della kermesse sembrano molto chiare fin da subito: una rassegna musicale in due appuntamenti che prevede l’esibizione di quattro artisti a serata, nel segno della musica indipendente italiana. La location quell’angolo incantevole e intimo che è il Teatro greco di Tindari. L’intento quello di riportare l’attenzione su una porzione di provincia, quella di Messina, sul fronte di iniziative culturali che si svincolino dalle consuete manifestazioni alla quali siamo stati abituati per anni. In altri termini, portare la musica rock nel tempio di quella che fu la magnificenza classica. Impresa ambiziosa e molto attraente, se si considera – mettendo da parte ogni retorica del caso – che godere di buona musica in una luogo simile è un autentico privilegio.
A salire sul palco per primo (dopo i saluti del fondatore di Leave Music Alberto Quartana) è un giovane cantautore napoletano, Gnut. Le onde sinuose del violoncello che lo accompagna rievocano le suggestioni malinconiche dei Dirty Three, ma le acque in cui ci si ritrova ad immergersi non sono quelle cobalto dei mari del Nord che ispirano i brani della band australiana, bensì i quieti flussi della baia sottostante al teatro, di un mediterraneo che racconta cose passate, amori e abbandoni, storie di nonne e di partenopee passioni. Gnut porta in scena una storia antica, la più antica del mondo e lo fa con estrema semplicità. A seguire è Tommaso Di Giulio, un cantautore romano che, a sentirlo, dà l’idea di essere un Simone Cristicchi alleggerito di chiome e impegno civile, più ammiccante nei confronti del pubblico, che si diverte a giocare, ma che ci tiene a farci capire che non è scemo e quindi cita Herzog. Bella l’intuizione: “Scrivo una canzone perché un romanzo non lo leggeresti mai”.
Una delle tante note di merito di questo Festival è l’equilibrio dei tempi, la perfetta armonia che si stabilisce tra un’esibizione e la successiva, il ritmo alternato tra un artista ed un altro. Nessuna esibizione risulta prolissa al punto da portarti a pensare “domani che preparo da mangiare a pranzo?”
Il dono della sintesi esaustiva.
Quando sul palco salgono i Management del dolore post operatorio il pubblico esplode in una festa: Luca Romagnoli, frontman della band abruzzese, dà spettacolo con una performance degna della migliore Ian Curtis’s school of dance. I testi sono belli, dissacranti senza, però, alcuna traccia di cinismo obbligatorio alla Spinoza, intelligenti senza l’ombra della pedanteria. Sermoni apocalittici dal tono un po’ alla Federico Fiumani, un po’ alla Emidio Clementi si stagliano su una raffica di suoni alla Gang Of Four ed Echo And The Bunnymen, per un resoconto di denuncia sociale e poesia personale dove c’è posto per tutti, da Majakowskji a Norman Zarcone, il dottorando palermitano che nel settembre del 2010 si lanciò dal terrazzo della propria università a seguito di tormenti circa il proprio futuro lavorativo.
Infine i Marta sui tubi, headliner della serata che non disattendono affatto le aspettative del proprio pubblico di fedelissimi, dando vita ad un concerto allegro e molto sentito dai presenti.
In attesa della chiusura di questa sera con Nicolò Carnesi, Bottega Glitzer, Cassandra Raffaele, Brunori Sas e DiMartino, il bilancio di questa prima assoluta è del tutto positivo: in questa prima serata sono emersi, accanto alla buona musica, la bellezza e l’amore. La bellezza di un luogo eterno, custodito in un promontorio a strapiombo sul mare e l’amore di persone che portano avanti un’idea, con il lavoro fisico e intellettuale, resistendo all’abbrutimento morale di una certa realtà locale.
Un piccolo diamante grezzo.
Giuseppina Borghese