Il procuratore capo di Messina Maurizio De Lucia indica i possibili strumenti per arginare le infiltrazioni mafiose nei fondi europei anti coronavirus. E al Die Welt manda a dire...
Il Procuratore Capo di Messina, Maurizio De Lucia, indica le possibili strade per combattere il rischio infiltrazioni mafiose nei fondi pubblici – in particolare fondi europei – destinati alla lotta al coronavirus. E al Die Welt manda a dire…
De Lucia già a fine marzo aveva lanciato l’allarme sul pericolo che le mafie allungassero le mani anche su questo canale di finanziamento pubblico. Adesso approfondisce la tematica in una intervista rilasciata insieme ai colleghi Dino Petralia, procuratore generale di Reggio Calabria, e Lia Sava, PG di Caltanissetta.
L’analisi a tre voci è stata raccolta da Andrea Apollonio e pubblicata sulla rivista di settore Giustizia Insieme, che potete leggere qui in versione integrale.
I tre magistrati, profondi conoscitori della capacità delle mafie di dragare denari pubblici e accaparrarsi risorse, partono dalla ormai polemica scatenata dal quotidiano tedesco Die Welt, ma ammettono che il Governo, nelle misure adottate, non ha previsto strumenti di controllo e che i rischi che la criminalità organizzata possa approfittarne sono più che concrete.
Il Procuratore Capo di Messina in particolare ricorda che le mafie sono pericolose, in questo frangente, per almeno tre motivi: la loro capacità di prestare denaro liquido ai più bisognosi, il rischio che così facendo si impossessino di aziende in difficoltà, infine la grande capacità di partecipare ed aggiudicarsi gli appalti pubblici, soprattutto di quelli gestiti in emergenza, quindi bypassando i controlli preventivi in vigore.
De Lucia indica poi alcune strade possibili per contenere il pericolo di infiltrazione mafiosa, a cominciare dai controlli bancari. Non devono ostacolare l’accesso al credito in tempi rapidi, ricorda il capo della Procura messinese, ma devono comunque essere attivati, in corso di finanziamento.
Uno dei punti deboli delle procedure individuate dal Governo, infatti, è l’assenza dei poteri di controllo normalmente demandati agli organi prefettizi in questi casi.
Uno strumento utile, ammette De Lucia e con lui Petralia e la Sava, potrebbero essere i protocolli sul modello del Protocollo Antoci, o qualunque altro strumento che consenta il dialogo e lo scambio di informazioni tra forze dell’ordine, procure, prefetture e sistemi bancari.
D’altronde il protocollo Antoci è nato proprio per contrastare la grande capacità delle organizzazioni criminali di approfittare dei fondi comunitari grazie a capacità proprie dei professionisti del settore. Capacità dimostrata dall’operazione Nebrodi, condotta dalla procura guidata da De Lucia.
Proprio l’operazione Nebrodi, però, ricorda De Lucia, dimostra che i protocolli non bastano, le mafie sono in grado di aggirare e anzi “usare” anche quelli, e che l’azione di investigatori ed inquirenti rimane imprescindibile.