Confronto con Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano, che, nei giorni scorsi, ha presentato, presso l'istituto San Tommaso, il suo nuovo sagggio "Il Vaticano II e la comunicazione. Una rinnovata storia tra Vangelo e società". «Tra Papa Francesco e Papa Giovanni XXIII molte analogie». E sui social network possibile rischio per la Chiesa dice: «Non credo che Gesù abbia pensato di non esporsi in maniera rischiosa».
L'11 ottobre 1962, piazza San Pietro era gremita di fedeli che, se pur non comprendendo a fondo il valore teologico dell'avvenimento, ne percepivano la storicità, ed erano nel luogo che simboleggia il cattolicesimo, la piazza appunto. Si apriva il Concilio Vaticano II, importantissima assise che, indetta tre anni prima da Papa Giovanni XXIII, si sarebbe chiusa nel 1965 sotto il pontificato di Paolo VI. Quella sera, il “Papa buono” pronunciò il famoso discorso detto “alla luna”, quello della celebre frase «tornando a casa, troverete i bambini: date una carezza ai vostri bambini e dite: "Questa è la carezza del Papa!"»; un discorso poetico, dolce, semplice, e pur tuttavia contenente elementi del tutto innovativi. Un eccezionale contributo visivo dell’Istituto Luce relativo a quell’evento, è presente nel dvd allegato al recente volume “Il Vaticano II e la comunicazione. Una rinnovata storia tra Vangelo e società”, scritto da Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano, e presentato Mercoledì 8 Maggio, presso l’Istituto Teologico “San Tommaso”di Messina. L’evento, che ha chiuso una serie di incontri in preparazione alla 47esima Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali in programma Domenica 12, è stato moderato dal giornalista Antonio Tavilla. Presenti anche al confronto, l’Arcivescovo, Mons. Calogero La Piana, Don Franco Di Natale, preside del “S. Tommaso”, Padre Giuseppe Lonia, direttore dell’Ufficio diocesano per le Comunicazioni Sociali e la prof.ssa Maria Eugenia Parito, Sociologa della Comunicazione presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università di Messina.
Mons. Viganò, che è anche professore ordinario di Teologia della Comunicazione presso la Pontificia Università Lateranense e docente di Linguaggi e mercati dell’audiovisivo presso il Dipartimento di Scienze Politiche della LUISS “Guido Carli”, ha iniziato il suo intervento ricordando il quadro storico entro cui si mosse il Concilio: l’arrivo al soglio di Pietro di Papa Roncalli, i primi segnali, con Kennedy e Krusciov, di disgelo tra il blocco atlantico e quello sovietico, l’esperienza del primo governo di centro-sinistra in Italia. I lavori conciliari, coperti inizialmente dal segreto, ebbero poi sempre più spazio nelle cronache dei quotidiani, delle radio e delle TV. Documento fondamentale, seppur notevolmente ridimensionato rispetto alla proposta iniziale (dagli oltre 100 si passò ad appena 24 paragrafi) per le perplessità e comprensibili ancora scarse conoscenze dei vescovi in materia, fu il decreto Inter Mirifica che segna, per la prima volta in maniera ufficiale, la presa in carico delle comunicazioni di massa da parte della Chiesa cattolica. A margine dell’incontro, Tempostretto.it ha posto qualche domanda a Mons. Viganò.
Qual è l’intento che muove la scelta di questo saggio?
A Dicembre ricorrono i 50 anni dall’emanazione di Inter Mirifica, che, pur non avendo la portata teologica e dottrinale delle grandi costituzioni come Gaudium et Spes e Sacrosanctum Concilium, è comunque fondamentale per la storia della Chiesa. La mia idea è quella di contestualizzare il lavoro che hanno fatto le commissioni preparatorie di questo documento e poi i padri conciliari. Ho ritenuto necessario, perciò, raccontare cosa stesse avvenendo nello scacchiere geopolitico internazionale (il dialogo tra USA e URSS per esempio). Sono anni in cui abbiamo a che fare, oltre che con radio e giornali, anche con la televisione. In Europa, questo nuovo mezzo di comunicazione di massa ha da poco mosso i suoi primi passi. Ci sono insomma tutte le caratteristiche che faranno diventare un evento ecclesiale un evento di portata mondiale.
In tale contesto si staglia la figura di Papa Giovanni XXIII, al secolo Angelo Roncalli…
Sì, Giovanni XXII è una figura straordinaria. Un grande diplomatico che ha esperienza nei paesi oltre cortina e che, grazie ai suoi rapporti, riesce a far giungere a Roma, per il Concilio, i vescovi che vivevano la cosiddetta “Chiesa del Silenzio”, nei paesi sovietici appunto. Innovativo fu tutto il suo pontificato, perché, a meno di cento giorni dalla sua elezione, Papa Roncalli, presso San Paolo fuori le mura, comunica tre cose: il rifacimento del codice di diritto canonico, il sinodo per la Chiesa di Roma e il Concilio Ecumenico Vaticano II. Di fronte a questo annuncio, l’Osservatore Romano riportò la notizia solo due giorni dopo: chi è sospettoso pensa ad una precisa volontà da parte del giornale di eludere quell’argomento, chi non lo è confida nel fatto che il giornale fosse già impaginato. In ogni caso, la sorpresa fu tanta. Questo perché tutti ritenevano che Papa Giovanni XXIII sarebbe stato un Papa di passaggio…
La forza innovativa di Papa Giovanni come si tradusse in concreto all’interno del Concilio?
I lavori di preparazione del Concilio furono affidati dal Papa non a quello che al tempo di chiamava Sant’Uffizio (e che oggi si chiama Congregazione per la dottrina della fede) piuttosto alla Segreteria di Stato. Affidare ad essa tale compito, significava affidarlo a quell’organismo che conosceva bene le chiese del mondo e che con loro aveva stretti rapporti nei vari contesti. L’intento del Pontefice era perciò quello di far emergere la realtà concreta della Chiesa nei vari luoghi di tutti il mondo. Certo, tutto questo non venne accolto a cuor leggero da alcuni ambienti della curia che vedevano nel Concilio un rischio immenso per la sopravvivenza stessa della Chiesa e della sua ortodossia. E nel discorso inaugurale del Concilio, Papa Giovanni XXIII affermò chiaramente di voler «dissentire da questi profeti di sventura».
Non tutte le novità apportate dal Concilio sono state ad oggi recepite, cosa resta da fare?
Il Concilio è una bussola per tutti i cristiani ancora oggi e anche ciò che è stato fatto non può essere archiviato come cosa fatta. Si è avviato un processo che deve continuare, ma tale processo è un processo che vive un rapporto dialettico all’interno della storia. Il concilio non è da pensare come qualcosa che pone delle indicazioni finali da portare a termine, non c’è insomma un obiettivo “aziendale” da raggiungere. Il concilio indica una strada, in alcuni ambiti più larga, in altri più stretta, che ancora va percorsa. La ricezione del Concilio oggi è diversa rispetto al passato, perché la riflessione teologica ha progredito.
Lei è direttore del Centro Televisivo Vaticano. Al di là dell’aspetto storico e sociale, ampiamente dibattuto, in ambito mediatico la compresenza di due Papi in Vaticano, l’uno emerito, l’altro in carica, cosa comporta?
Credo nulla di problematico, forse può solo sollecitare la fantasia di qualche giornalista esterno. Noi abbiamo un papa che è Papa Francesco e poi abbiamo un uomo, che non è più un papa (certo, si è trovata la formula di “papa emerito”) che ha fatto la scelta, come egli afferma, di vivere come Mosè sulla montagna. Una scelta da rispettare e che lui, per primo, fa rispettare; essendo un uomo discreto, si è reso invisibile agli occhi del mondo, volendo continuare a servire la Chiesa in maniera diversa: con la preghiera.
Si vedrà ancora?
Non credo. Era importante far vedere l’incontro tra Papa Francesco e Papa Benedetto, e farli vedere mentre pregavano, per mostrare un’idea molto precisa, e cioè la storia che continua. Il nuovo papato si innesta sul precedente, non c’è nessuna contrapposizione, c’è un continuare a scrivere con la passione della vita sulla pagina della storia.
Papa Francesco è stato paragonato proprio a Giovanni XXIII per la mitezza ma anche per la sua fermezza. Lei cosa si aspetta nell’immediato futuro?
Certamente, richiama, sia nella fisicità che nel carattere, Papa Giovanni e più volte lui stesso lo ha richiamato, richiamando il Concilio. Mi aspetto quello che lui sta denunciando: che la Chiesa sappia sempre di più essere la Chiesa di Gesù. Quando la Chiesa parla, le sue parole devono avere la densità della vita…
La Chiesa e i social media. Ricordiamo tutti il primo tweet lanciato da Papa Benedetto e anche Papa Francesco sta continuando a usare questo social network, perché tanta insistenza?
Credo che la Chiesa dica la presenza di Dio, grazie alla potenza dello Spirito, nella storia. I social media permettono non di sostituire le comunità cristiane, ma di affiancare a quelle forme di comunità in presenza, forme di comunità in rete. I tweet di Papa Francesco hanno un numero di followers elevatissimo, significano per molti uno sprone anche se certamente chiunque mantiene il diritto di critica. Ma questo vale anche nella vita reale…
Non reputa che questa esposizione alla lunga possa rivelarsi rischiosa?
Beh, non credo che Gesù abbia pensato di non esporsi in maniera rischiosa…
(CLAUDIO STAITI)