Corrado Tedeschi a Tempostretto.it: «Oggi si diventa famosi senza avere nessuna qualità»

Corrado Tedeschi a Tempostretto.it: «Oggi si diventa famosi senza avere nessuna qualità»

Corrado Tedeschi a Tempostretto.it: «Oggi si diventa famosi senza avere nessuna qualità»

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sabato 23 Luglio 2011 - 11:18

L'attore in scena a Messina, racconta il suo passato da calciatore e la sua passione per il teatro

Manca poco all'inizio dello spettacolo "L'Uomo dal Fiore in bocca" quando Corrado Tedeschi, volto-icona della tv anni '90, ha voluto aprire il baule dei ricordi per i lettori di Tempostretto.it, ​regalando uno scorcio sull'attuale società dello spettacolo e il mondo della tv, funestato da meteore senza alcuna qualità. Inoltre Tedeschi svela un passato da calciatore poco noto ma soprattutto si sofferma sulla potenza della scrittura pirandelliana.

Lei ha iniziato subito dal palco oppure vi è approdato così, per caso?

Io comincio con il teatro, ho iniziato a 17 anni alla scuola del Teatro Stabile di Genova, luogo di grande tradizione, tutti gli anni di televisione sono venuti dopo…

Una curiosità: ha militato nelle giovanili della Sampdoria. Come ricorda quell’esperienza e come mai non ha proseguito la sua carriera nel mondo calcistico?

Avevo la testa molto confusa, nel senso che mi piaceva molto il mondo della televisione e l’idea del teatro. Però, il calcio è stato un amore enorme che ho mantenuto sino a trent’anni, giocando nelle serie minori. Poi, ho avuto un infortunio serio, mi son rotto il tendine d’Achille e questa è stata la causa, anche se non avevo nemmeno la testa… Però, il mio grande sogno è stato sempre quello di tornare in teatro e, dopo tutti gli anni di televisione, sono riuscito a tornarci con grande successo e grande soddisfazione. Purtroppo, in questo ambiente qui, quando lasci la televisione per fare teatro ti guardano come se fossi uno squilibrato… Credono che fare televisione sia l’unica cosa per cui si esiste! Che è una cosa sbagliatissima… Per fare teatro bisogna essere capaci, per fare televisione non c’è bisogno: ecco la differenza.

Si rammarica del fatto che qualcuno si sia dispiaciuto che lei abbia lasciato la televisione per tornare al teatro, la sua prima passione?

La televisione è un mezzo meraviglioso, se vuoi, nel senso che ti dà una grande popolarità: è come se tu acquisissi un credito con il pubblico. E’ una cosa che poi serve facendo anche il teatro. Se tanta gente viene a teatro perché mi conosce dalla televisione, va benissimo lo stesso, perché tanto vede un attore non vede un “improvvisato”…

Oggi è possibile diventare famosi solo con il teatro, senza passare dalla televisione?

No, oggi no. Oggi si diventa famosi per niente: vedi i reality, queste robe qua… si diventa famosi senza avere nessuna dote… Dopo, eventualmente, qualcuno dimostra di avere qualcosina per fare questo mestiere. Il meccanismo, insomma, è stato stravolto: prima si diventa famosi e poi, forse, bravi.

A proposito dello spettacolo che andrà in scena questa sera (ieri sera ndr), “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello. E’ una commedia tra le più conosciute, eppure tra le meno studiate a scuola: la storia di un uomo, il cui tumore diventa motivo di riflessione interiore, prima, e di dialogo con il pubblico, dopo.

La cosa particolare di questo spettacolo è che con il regista (Marco Rampoldi ndr) noi abbiamo scritto una prima parte che è una specie di lezione semiseria su Pirandello, dove il pubblico si ritrova a ridere moltissimo, su cose tutte pirandelliane. La prima parte è un’incognita: dipende da come reagisce il pubblico, il quale interagisce con me. Poi parte “L’uomo dal fiore in bocca”: i personaggi sono due ma, in seguito, l’opera assume una struttura monologante e, perciò è stata considerata, da sempre, uno dei più grandi monologhi della storia del teatro. Il fatto che non si studi a scuola, secondo me sbagliato, dipende forse dal fatto che è un Pirandello che non è tanto Pirandello, è un Pirandello diverso. Non c’è il pirandellismo, e, in senso anche negativo, c’è una scrittura un po’ criptica che però ci presenta un Pirandello più umano… E’ meravigliosa: descrive i gesti di quest’uomo che racconta dei ragazzi che confezionano i pacchi e di un signore che incontra di notte alla stazione. Ne nasce una chiacchierata. Il protagonista riesce a stupire l’uomo conosciuto alla stazione perché parla in modo sorprendente dei piccoli dettagli della vita, essendo l’ultima volta che li vede. E’ una cosa che capita a tutti noi: se sappiamo che non faremo più qualcosa, la guardiamo con occhi diversi…

Secondo Lei, l’umorismo pirandelliano, il “sentimento del contrario”, è ancora attuale ai giorni nostri?

Beh, sì… in particolare, direi per quanto riguarda il mondo politico, per esempio il divario tra l’essere e l’apparire. Qual è la verità? Pirandello ci pone tanti interrogativi. Non esiste una sola verità, ma tante verità. Ognuno ha la sua. Per esempio, nel caso di uno spettacolo, c’è la mia verità, la verità dell’attore, e la verità del pubblico.

Cosa ne pensa di Messina? E’ la sua prima volta qui?

Conosco Messina, sono venuto in teatro. Ho lavorato con un messinese che è Massimo Piparo: abbiamo fatto “My fair Lady”.

Qual è il suo autore preferito?

Sarebbe troppo facile rispondere Pirandello… A parte lui, ho ancora un sogno nel cassetto… portare sulle scene “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo…

(di Claudio Staiti e Angela Russo)

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