Dacia Maraini, l’impegno civile e la scrittura: «Credo nel cambiamento»

Dacia Maraini, l’impegno civile e la scrittura: «Credo nel cambiamento»

Dacia Maraini, l’impegno civile e la scrittura: «Credo nel cambiamento»

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mercoledì 15 Maggio 2013 - 15:44

La scrittrice ha presentato a Messina il suo ultimo libro, “L’amore rubato”, che racconta, in otto storie, esperienze reali di violenza sulle donne. «L’amore è un fatto biologico, ─ha detto─ ma il modo di viverlo è un fatto culturale»

«Lo scrittore è quel testimone che lavora con dettagli fisici, con la realtà che si può toccare, cioè con la materia umana. Per questo deve raccontare la verità ed essere così di sprone alla società». Così ha detto Dacia Maraini intervenendo, Lunedì 13 Maggio, alla presentazione del suo nuovo libro “L’amore rubato” (Rizzoli, 2012), organizzata dalla Libreria Bonanzinga in collaborazione con la Scuola Forense di Messina e svoltasi nell’Aula Magna della Corte d’Appello. L’iniziativa, valida ai fini dell’accreditamento per la formazione permanente degli avvocati, è stata presentata dall’Avvocato Paolo Vermiglio, responsabile della Scuola Forense: «Aver pensato ─ha detto─ che la nostra formazione debba essere solo tecnica è stato uno sbaglio, si è perso un poco il contatto con la realtà. Ecco perché la scelta di incontrare la Signora della letteratura». Del resto, come hanno sottolineato l’Avvocato Francesco Celona, presidente dell’Ordine degli Avvocati e Mario Samperi, presidente della II sezione penale del Tribunale, «non può esistere avvocatura senza cultura».

“L’amore rubato”, alcuni passi del quale sono stati letti dall'avvocatessa Patrizia Rizzo, che affronta da vicino, attraverso otto storie vere, il tema della violenza sulle donne e sui minori (sono stati centoventi i cosiddetti femminicidi del 2012), evidenzia un grave problema culturale contro cui la legge da sola non può fare molto. «Non credo ─ha sostenuto la Maraini nel suo intervento─ che gli uomini siano picchiatori e stupratori per natura, è la cultura del mercato che sta insegnando che tutto si può comprare e vendere, facendo passare gli individui da persone a cose». «Gli aguzzini ─ha continuato hanno puntato tutto sul concetto del “possesso” e, come gli animali, segnano e demarcano il territorio: suoi sono i figli, sua è la moglie». Non è un caso che quando la donna decide di andar via, l’aguzzino è disposto ad ucciderla piuttosto che a perderla, e, talvolta, a suicidarsi subito dopo (e questo nel 60 % dei casi). «È una crisi che mette in discussione l’identità di chi è aguzzino». Ma come è possibile che le violenze durino anni e che, a volte, finiscano solo con la morte della vittima? L’autore dell’abuso è quasi sempre, agli occhi degli estranei, un uomo e marito per bene che tiene alla rispettabilità sua e della sua famiglia. In più, molto spesso, riesce a far diventare la propria vittima un complice, creando in essa un tale senso di colpa da riuscire a non farsi mai denunciare. Ci sono casi persino in cui il bambino-vittima diventa il difensore dell’aguzzino, tale è il rapporto di intimità che si è creato. «Questo tipo di violenza ─ha concluso la Maraini─ saremmo portati a pensarla propria sola di alcuni livelli sociali, ma non è così. Coinvolge la società intera e con essa i modelli che costruiamo. L’amore è un fatto biologico, ma il modo di viverlo è un fatto culturale». Tempostretto.it, al termine dell’incontro, ha incontrato Dacia Maraini.

Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro e cosa pensa possa muovere?

È un tema che rincorro da tanti anni. Spero in qualche sommovimento di coscienza. Lo scrittore va nell’inconscio, nel luogo dei sensi più che nel ragionamento. E ho fiducia che le persone cambino, credo nel cambiamento.

Tra uomo e donna cosa è amore e cosa non lo è?

Quando finisce l’amore tra uomo e donna e rimane l’amicizia vuol dire che c’è stima. Quando non c’è stima, l’amore finisce quasi sempre male, nell’odio e nel rancore.

Chi ha conosciuto, come lei, la guerra e le privazioni, pensa abbia qualcosa in più da raccontare rispetto a quanto potranno raccontare ai loro figli le nuove generazioni?

La vita è sempre interessante da raccontare, in tutte le testimonianze. Io ho vissuto di più e quindi forse ho di più da raccontare. Anche episodi dolorosi. Ma tutte le vite si equivalgono, non c’è una vita che vale più di un’altra.

A proposito di esperienze dolorose, come fu la sua prigionia in infanzia in Giappone?

Chiesero ai miei genitori di firmare l’adesione alla Repubblica di Salò, ma non lo accettarono e ci misero per questo nel campo di concentramento di Nagoya, a sud di Tokyo. Lì, abbiamo sofferto soprattutto la fame e le malattie che da essa derivano. Sono stati due anni molto duri…

Lei racconta spesso un commovente episodio riguardo alla liberazione, vuole riproporlo ai nostri lettori?

Quando è finita la guerra, tutti i guardiani del campo sono spariti, temendo che noi ci potessimo vendicare; ma noi eravamo talmente affamati e disperati da non pensare affatto a vendicarci. Gli aerei degli americani passavano sopra di noi, ma non ci vedevano; non sapevamo come fare per farci notare, ma poi pensammo di cucire una bandiera italiana. Si andò alla ricerca di un vecchio lenzuolo. Bisognava tingerlo di rosso e abbiamo trovato dei pomodori ed infine per il verde l’erba. Insomma, siamo riusciti alla fine a fare una bandiera approssimativa, ma piuttosto grande e visibile dall’alto. Così, finalmente, un aereo, volando basso, ci ha visti e ci ha salvati.

Dopo il Giappone, lei e la sua famiglia vi trasferiste in Sicilia. La Sicilia del passato e la Sicilia di oggi. Ci trova migliorati?

Moltissimo, se pensiamo che la mafia era un “non detto”, un tabù linguistico. Adesso se ne parla e ci sono tantissimi movimenti che lottano contro di essa, ci sono tanti giovani che si spendono attivamente e questo mi da’ grosse speranze. Del resto la mafia è un problema che impedisce la crescita e che va a discapito proprio dei più giovani.

In un mondo così frenetico, quale il nostro, quale ruolo ha la letteratura e che peso diamo alle parole?

La letteratura è il luogo dove le parole si concretizzano, dove diventano materia di memoria. La scrittura è memoria. Perciò è importante che le parole abbiano una certa chiarezza e limpidezza; non parlo di stile ma di comunicazione.

Nel futuro pensa che leggeremo di meno?

Non credo. Vedo che molte letture si sono trasferite sui tablet, ma non penso che si possa sostituire completamente il libro. Il libro ha una forza evocativa maggiore, è più vicino al corpo umano, in quanto fatto di materia organica. Non sono nemmeno per demonizzare la tecnologia, penso che tradizione e innovazione debbano convivere.

C’è una citazione da un poeta da lei amato con la quale vuole salutarci?

Della grande poesia italiana, mi viene in mente Leopardi «Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Silenziosa luna?». Forse è una delle più belle domande poetiche e filosofiche che sono state fatte e che continuiamo a ripetere oggi.

(CLAUDIO STAITI)

Dacia Maraini (Fiesole, 13 novembre 1936) è una scrittrice, poetessa, saggista, drammaturga e sceneggiatrice italiana che fa parte della "generazione degli anni trenta", insieme ad alcuni dei più conosciuti autori della letteratura italiana. Da sempre impegnata per i diritti delle donne, e contro la mafia. Nel 1990 ha vinto il premio Campiello con La lunga vita di Marianna Ucrìa, nel 1999 il premio Strega con Buio, nel 2012 il premio Campiello alla carriera.

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