A tu per tu con il direttore artistico del festival cinematografico di Taormina: grandi nomi, nuovi orizzonti e internazionalità sul palcoscenico siciliano
Il suo ruolo Deborah Young, vulcano sempre attivo, se l’è inventato proprio bene.
Da cinque anni si pone come mediatrice tra la Sicilia e il resto mondo.
Critica di professione in Italia, ma dal background statunitense, la direttrice artistica del Festival del Cinema di Taormina ci racconta che da sempre ha pensato alla Sicilia come un luogo stupendo da far conoscere a tutti gli americani, soprattutto ai colleghi americani: ne ha avuto l’opportunità e non ha smentito di certo gli intenti iniziali. Se all’inaugurazione delle proiezioni al Teatro Antico, un certo Jeffrey Katzemberg, direttore di DreamsWorks Animation, maggiore studio di animazione al mondo (realizzatore tra gli altri di lungometraggi molto apprezzati, come le serie Shrek, Madagascar, Kung Fu Panda) si presenta sul palco per The Hollywood Reporter Award for the Cinematic Excellence, qualcosa dovrà pur significare.
La scelta di Kung Fu Panda 2, come film d’apertura, ha spiazzato un certo orizzonte d’attesa: essendo stato scelto il Maghreb come paese ospite nella kermesse, in molti si sarebbero aspettati una serata nel segno della riflessione. La Young spiega i perché della linea seguita: «L’intrattenimento, quello di grande qualità, è un fattore imprescindibile per catturare il supporto e l’attenzione del pubblico già dalla prima sera. Ci saranno altre occasioni, nel corso di questo festival, per affrontare i grandi temi della contemporaneità». Saper miscelare l’offerta, più che mai diversificata, grazie a potenzialità tecnologiche estremamente sviluppate: questo è il primo obiettivo che s’è imposta la direzione artistica.
Ieri, ad esempio, Oliver Stone è stato il protagonista di una serata evento, ideata intorno al suo Alexander Revisited: The Final Unrated Cut (con Colin Farrell, Angelina Jolie, Antony Hopkins). Questa mattina, invece, il Palacongressi ospiterà una Master Class col regista americano, che saprà certamente coinvolgere pubblico e stampa in una conversazione animata e dai risvolti imprevedibili.
«Tornando al Maghreb – continua la Young – penso a Pasolini, ai suoi Appunti per un Orestiade africana, penso a un continente come Luogo che fummo, le cui battaglie furono le nostre battaglie passate, che ritornano oggi incredibilmente vivide, presenti. Il cinema nordafricano ha contribuito enormemente, dagli anni settanta a oggi, alla riforma, in senso strettissimo ed estremamente conflittuale, delle coscienze, affrontando sovente le limitazioni feroci della censura». Deborah Young è fiduciosa circa il ruolo di prim’ordine che potrà ritagliarsi il cinema del futuro nelle grandi rivoluzioni sociali. Il cinema, meno penetrante nel breve periodo per un impossibilità d’immediatezza e di contestualità con gli sconvolgimenti in atto, può, in seconda battuta, storicizzare il coraggio e la volontà di cambiamento grazie al lavoro dei documentaristi. Ogni fatto forzato nei canoni cinematografici, s’offrirà come oggetto di riflessione in uno stato di legittimo distacco dagli eventi ormai passati. (MARCO CARROCCIO)