Il noto costituzionalista Venerdì nella sua città per presentare il suo primo romanzo, "Doppio Riflesso" (Rizzoli, 2012). Con lui parliamo di Università, Politica e Attualità. «Credo che questo sia un momento in cui è opportuno coltivare le eresie, degli slanci di fantasia che facciano superare questa realtà di macerie in cui siamo tutti, e non solo Messina»
Oggi a Messina per la presentazione del suo primo romanzo. Ha dichiarato, in un’intervista, che preferirebbe che il lettore non la conoscesse, che si approcciasse al libro non sapendo chi sia Michele Ainis, perché è un’esperienza nuova sia per lei, sia per il lettore, abituato, com’è stato in questi anni, a leggere i saggi di un bravo costituzionalista. Com’è arrivato a compiere questo salto nella narrativa?
Questo romanzo mi accompagna da parecchio tempo, è stato scritto e riscritto. È nato vecchio, perché ha un passato robusto alle sue spalle. Come in quel film in cui c’è un bambino che nasce vecchio e poi, man mano, ringiovanisce. Spero che trovi qualche altro lettore e che lo giudichi per quello che c’è dentro e non per la faccia di chi l’ha scritto.
Lei si è laureato a Messina in Giurisprudenza nel 1978, sotto la guida del celebre costituzionalista Temistocle Martines. Che ricordi ha di quegli anni e com’era la città che ha lasciato?
Gli anni in questione erano gli anni ’70, che penso siano stati un tempo felice per la storia collettiva, o comunque meno infelici. Mi si potrà obiettare che lo penso perché avevo vent’anni, ma, in realtà, in quel tempo, nonostante gli episodi di terrorismo, c’è stata una trasformazione civile dell’Italia, è un tempo scandito da riforme che attuano la Costituzione: la riforma del diritto di famiglia, la riforma sanitaria, il divorzio, nuovi regolamenti carcerari. Molta partecipazione alla vita pubblica. A Messina c’erano più luoghi di dibattito, c’erano più librerie. Un mio compagno di liceo del Maurolico, Massimo La Torre, filosofo del diritto, ha scritto che Messina è una città sconfitta. Una tesi, credo veritiera. La nostra città ha avuto un passato di orgoglio municipale, di primati imprenditoriali ed è stata piegata dai terremoti, ha fallito le sue rivoluzioni, e poi non è stata più capace di raddrizzare la schiena.
Che giudizio si sente di dare della condizione dell’Università di Messina?
Essendomi laureato qui, ed avendo iniziato qui la mia carriera, divenendo ricercatore a Scienze Politiche, aver visto, negli ultimi anni, l’Università finire sulla stampa nazionale per vicende o da codice penale o da codice morale, mi ha molto fatto dispiacere. So bene che esistono tante intelligenze, ma di certo i maestri che c’erano negli anni ’70 adesso non ci sono più. Grandi nomi che hanno reso celebre non solo la scuola costituzionalistica, ma anche quella civilistica. So che l’Ateneo si prepara ad un nuovo mandato rettorale e spero che questa sia un’occasione per un’ulteriore rilancio di cui ha bisogno, sia chiaro, in generale, tutto il sistema universitario italiano, che chiede, da troppo tempo, un ricambio della classe dirigente.
Lei ha definito la democrazia un “animale a tre zampe”. Una zampa è quella della democrazia elettiva, un’altra è quella della democrazia diretta e, infine, l’ultima è quella della democrazia partecipativa. Ed ha aggiunto che, purtroppo, la democrazia elettiva, e cioè quella costituita da chi si candida per governare, ha preso il sopravvento e i politici, quindi, sembrano gareggiare in solitaria. Come se ne esce?
Se ne esce andando in palestra, con un personal trainer che rafforzi la muscolatura delle altre due gambe. Consolidando cioè gli istituti di democrazia diretta, che sono strumenti di decisione non filtrata, non delegata dei cittadini –e non sono soltanto i referendum– e dando un ruolo maggiore all’associazionismo diverso da quello partitico e sindacale che hanno monopolizzato il dibattito.
A proposito dei referendum, il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo propone l’introduzione di referendum senza quorum, è una cosa attuabile?
Noi ce l’abbiamo già uno senza quorum ed è il referendum costituzionale, quello più importante, previsto dall’articolo 138, nel caso in cui venga approvata una legge che cambi la Costituzione. Se è senza quorum quello non vedo perché non lo debbano essere pure gli altri, quindi sono d’accordo.
Tempo fa, aveva lanciato un provocazione, da lei stessa definita una “eresia giuridica”: creare un camera parallela a quelle già esistenti fatta di cittadini sorteggiati ai quali andrebbe il compito di esprimere un parere in particolare su questioni inerenti l’autoregolamentazione della politica. In tal modo si garantirebbe la presenza di un organo che vigila con assoluta democraticità sulle scelte dei parlamentari. Come è arrivato a questa proposta e che reazione ha avuto dai suoi colleghi?
I mie colleghi non hanno detto nulla o mi hanno preso a male parole (ride). Sono stato invece invaso da e-mail di tanti cittadini entusiasti. L’idea di questa camera di cittadini sorteggiati era una provocazione, ma fino ad un certo punto. Il sorteggio in effetti realizza l’eguaglianza. Non immaginerei però una camera legislativa, ma una camera di supporto e consultiva. E certamente non tutti i cittadini potrebbero essere sorteggiati, occorrerebbero dei requisiti, per capirci, non metterei Al Capone!
Nel libro “L'assedio. La Costituzione e i suoi nemici” (Longanesi, 2011) ha posto l’accento sul rischio che la nostra Carta ha corso e corre tuttora di essere manipolata e di essere strumentalizzata ora da una parte, ora dall’altra. C’è davvero necessità oggi, a distanza di oltre sessant’anni dalla sua entrata in vigore, di essere paladini della Costituzione? E in che modo si può fare concretamente?
Penso che la Costituzione vada difesa, non imbalsamandola. Perché se fai così significa che la consideri una mummia, cioè un morto. Siccome invece è viva, rafforzare, per esempio, i referendum, non significa aggredirla ma coltivare un seme che in essa è già presente. Penso inoltre che uno dei motivi che hanno portato la cosiddetta Seconda Repubblica a terminare in malo modo, sia il fatto che la Costituzione “materiale” non corrisponda a quella “formale”. La Terza Repubblica credo e spero che possa portare al congiungimento di queste due, attraverso riforme più incisive e al passo con i tempi.
In “Privilegium” (Rizzoli, 2012) scrive che “L’Italia è il paese delle deroghe e leggi nascono con l’eccezione”. Qual è il ruolo del legislatore in un paese dove è così alto il livello della corruzione?
In questo libretto io ho contato 63mila norme di deroga, tra leggi, regolamenti e decreti e una delle soluzioni che immaginavo per contrastare questo sistema è reclamare in parlamento una maggioranza più alta di quella richiesta oggi per approvare leggi che contengono delle deroghe, difendendo così il principio di eguaglianza. Credo in più che tra questo discorso e il fatto che l’Italia sia tristemente in alta classifica per grado di corruzione ci sia un nesso…
Attualità. Nell’editoriale del Corriere della Sera del 5 Dicembre scorso lei ha scritto riguardo alla volontà del Pdl di togliere la fiducia al governo che «siccome ogni legislatura dura 5 anni, siccome fin qui la XVI legislatura ci ha rallegrato per 4 anni e 8 mesi, quest'ultimo perentorio avvertimento equivale alla minaccia d'uccidere un morto. Difficile che il morto si faccia troppo male. D'altronde non è in buona salute nemmeno l'assassino». Al di là di questa calzante analisi, che giudizio da’ dell’operato del governo Monti?
Credo che il governo Monti abbia parecchi meriti, ma anche qualche insufficienza. Altrimenti sarebbe un governo di santi. Le insufficienze, secondo il mio punto di vista, riguardano le liberalizzazione mancate e quindi il fatto che non abbia aggredito i privilegi di cui parlavamo prima, una certa genuflessione rispetto ai poteri vaticani e un limite alla sua politica innovatrice che però deriva dalle condizioni date. Il governo, essendo retto su una maggioranza di tre partiti tra di loro così diversi, si è mosso come farebbe un bambino in una cristalleria…
Sempre sul Corriere della Sera, il 6 Dicembre scorso scriveva a proposito della sentenza della Corte costituzionale circa il conflitto tra Quirinale e Procura di Palermo che «nell’eclissi della seconda Repubblica, durante questa lunga crisi che attanaglia la politica, due poteri hanno fin qui riempito il vuoto: i garanti delle regole, il Quirinale e la magistratura. In qualche modo, questo conflitto era anche una sfida a duello fra i superstiti. Sopravvive, con pieno vigore, solo il primo». La magistratura ha perso un po’ di smalto?
Ha perso il conflitto, e non ne ha guadagnato in stellette da generale. Diceva Calamandrei che la Magistratura si difende anche criticandola e non omaggiandola acriticamente. Ci sono dei casi in cui merita qualche critica. Per esempio io trovo francamente insopportabile vedere magistrati che diventano politici utilizzando la popolarità che hanno guadagnato come magistrati….
Qualche riferimento ad Antonio Ingroia?
No, nessun riferimento (sorride). Su di lui siamo tutti curiosi di sapere come andrà a finire…
Vuole lanciare un saluto ai lettori, ma soprattutto agli studenti di Giurisprudenza, forse suoi futuri colleghi?
Augurare ad un ragazzo di fare il professore universitario significa volere il suo male (ride). Qui sarebbe facile cadere nella retorica, io poi la detesto. Dire che il futuro di Messina dipende da chi ha vent’anni e non da chi ne ha settanta è persino ovvio. Credo che questo sia un momento in cui è opportuno coltivare le eresie, degli slanci di fantasia che ti facciano superare questa realtà di macerie in cui siamo tutti, e non solo Messina. (CLAUDIO STAITI)
Michele Ainis (Messina, 6 gennaio 1955) è tra i più noti costituzionalisti italiani. Insegna all’università di Roma Tre. Scrive sul “Corriere della Sera” e su “l’Espresso”. Ha pubblicato una ventina di saggi su temi politici e istituzionali (da ultimo Privilegium, Rizzoli, 2012). Nel 2012 ha pubblicato il suo primo romanzo, Doppio Riflesso, Rizzoli.
MICHELE AINIS…. CANDIDIAMOLO A SINDACO DI MESSINA…..
Credo proprio che gli anni 70 in Italia, ma soprattutto a Messina, sono stati ben altra cosa. C’era più interesse, più maturità anche tra i giovani di allora, ad affrontare le tematiche politiche.
Di quella generazione , di cui facciamo parte, caro Dr. Ainis ne dovrebbe convenire che sono venuti fuori due tipologie di messinesi, o italiani in genere, la meglio gioventù che è dovuta purtoppo emigrare per ben altri lidi e l’altra parte di cui ben descritta dagli episodi di Cafoon street e che si fanno rappresentare dai politici tipo +++++++++, e nel mezzo il nulla più assoluto in cui campeggiano titoli risonanti