Nei cantieri decine di lavoratori "fantasma". Pentiti di essere rimasti a Messina. "A mio figlio dico: vai via il prima possibile"
MESSINA – Hanno dai 30 anni in su. Ma hanno cominciato a lavorare appena maggiorenni, e i più giovani tra loro hanno un’esperienza di oltre un decennio a pesargli sulle spalle.
Sono tutti padri di famiglia con uno o più figli. Figli piccoli, grandicelli, adolescenti, giovani adulti. E il futuro dei loro figli è un grosso pensiero. Ma non l’unico, perché riuscire a lavorare abbastanza da poter pagare affitto, bollette e cibo è il pensiero dominante, anche se preferirebbero – dopo 10, 20, 30 anni di lavoro – pensare finalmente anche ad altro.
Non possono. Lavorano non solo a giornata ma in nero. Quello che effettivamente gli rimarrà in tasca, a fine settimana, è spesso una incognita.
È così l’edilizia a Messina. Non tutta – si immagina – ma una grossa quota. A raccontarlo sono alcuni lavoratori che, ovviamente, rimangono anonimi. Ma le loro sono storie comuni a tanti.
Nei bar alle 6 del mattino
«Andate nei bar alle 6 del mattino- E troverete ogni giorno, in qualsiasi bar, in tutta la città, decine e decine di operai che, se hanno i soldi, si prendono il caffè prima di andare nei cantieri». I soldi per il caffè si trovano, però. «Perché quando uno non ce li ha, un collega, magari sconosciuto, cerca di offrirglielo. Sappiamo tutti la vita che facciamo. Almeno un caffè ci vuole».
E a proposito di bar, «io ho cominciato da ragazzo come banconista in un bar. Mi pagavano in nero. La volta in cui sono stato trattato meglio mi hanno assunto per 3 ore al giorno, peccato che ne lavoravo tra le 8 e le 10. Me ne sono andato. E sono finito dalla padella alla brace».
Comunque sia, non si creda un’esagerazione il fatto che spesso manchi l’euro per pagare un caffè. «Tutto quello che guadagno, quando guadagno, finisce a metà mese. Arrivo al 20 del mese quando non ci sono bollette. Altrimenti resto senza un centesimo anche prima».
Mille euro al mese
Ma il “nero” non dovrebbe consentire alle ditte di non pagare tasse e simili e, dunque, guadagnare di più e potere, almeno, pagare bene i lavoratori? Probabilmente. Ma i lavoratori dicono che no, sono pagati così poco che in un mese prendono non più di mille euro. Che devono bastare per quel mese e per i mesi in cui non trovano lavoro.
Mille euro al mese e per di più «nessuna precauzione, nei cantieri, nessuna sicurezza. Niente caschi, niente cinture, pedane mezze rotte, ganci arrugginiti … Ogni mattina prima di cominciare a lavorare ci facciamo il segno della croce».
Una crisi lunga dieci anni
Né la crisi è una questione di oggi. E neanche è nata con il Covid. «Dal 2014/2015, quando ci fu letteralmente lo stop di tutta l’edilizia, Messina non si è mai ripresa. Abbiamo colleghi che dormono in macchina, con tutta la famiglia, e neanche ci possiamo aiutare tra noi. Ci sono colleghi che sono scappati altrove e non sappiamo se abbiano o meno trovato migliori condizioni. Ci sono quelli come noi che possono dire ai propri figli soltanto: andatevene. Andatevene subito da questa città. Non fate come abbiamo fatto noi, che siamo rimasti e ci ritroviamo in questa situazione».
Pentiti, «ogni giorno più pentiti», di essere ancora qui. «Qui viviamo sfruttamento, umiliazione, mortificazioni quotidiane. Viviamo nell’ansia di non poter portare il pane a casa. Non voglio tutto questo per i miei figli, anche se ci soffro a doverli convincere a emigrare. Non è questo il futuro che mi aspettavo».
«Mio figlio studia, e a scuola va molto bene. Quest’anno si diploma. Un diploma tecnico che teoricamente dovrebbe fargli trovare subito lavoro. Ma a Messina imprese non ce ne sono più. Quindi gli ho detto di prepararsi mentalmente ad andare nel Nord Italia o addirittura fuori dall’Italia. L’unica alternativa a emigrare è quello di vincere un concorso. Lui farà così, si preparerà e cercherà di vincere un concorso. Ma se non ce la dovesse fare, ecco, può solo trasferirsi, andarsene lontano. Non voglio che viva senza dignità e senza diritti come succede a me».
Terra bruciata
Speranze? Poche, pochissime. «Una volta mi hanno portato a lavorare in un altro Paese europeo e io pensavo che lì ci fossero i controlli, che il sistema funzionasse meglio, che anche l’azienda per cui lavoravo, che era messinese, dovesse cambiare comportamento. E invece no, anche in quel caso sono stato pagato in nero ».
D’altronde, o bere o annegare. «Le imprese ci dicono: o accetti la situazione o non farai più nemmeno una giornata di lavoro. Sanno quello che dicono, perché si conoscono tutti e il passaparola è continuo. Se uno chiede rispetto, rischia di rimanere disoccupato a vita. Ti fanno terra bruciata attorno».
La speranza vanificata
Già così è durissima. «Mi sono tolto il vizio del fumo, non ho i soldi. Mi sono tolto pure il motorino, vado in cantiere con i mezzi pubblici o con qualche passaggio quando lo trovo. Se ho la febbre devo comunque andare a lavorare, altrimenti non mangio. Se mi capita un incidente al lavoro, devo mentire in ospedale, al medico, e dire che mi sono fatto male a casa. Altrimenti non lavoro».
«Quando c’è stato il Bonus 110% abbiamo tutti ricominciato a sperare. Nascevano nuove ditte. C’erano più cantieri. Tutti abbiamo trovato da lavorare. Però non ci hanno pagato, ci hanno pagato il primo mese, i primi due, e poi niente più. Molti hanno fatto causa, e stanno cercando di ottenere quello a cui hanno diritto. Ma nel frattempo sono anche scoppiati gli scandali e tutto è finito in una bolla di sapone».
E adesso con il Pnrr? «Qui non vediamo niente di nuovo, almeno finora. Anzi, direi che va sempre peggio».
“Ci vogliono controlli veri”
Cosa fare, allora? I lavoratori si rivolgono ai sindacati e i sindacati fanno tutte le denunce che servono. Denunce pubbliche con tanto di dati, aggiornamenti, analisi. Denunce all’Ispettorato del Lavoro. Denunce circostanziate, caso per caso. I sindacati affiancano i lavoratori anche perché possano recuperate quanto loro dovuto. E però … la situazione generale resta tragica.
«Ci vogliono più controlli da parte delle istituzioni preposte», spiega un operaio. «Com’è possibile che ditte che non hanno il Durc continuino a prendere lavori, anche se dai privati? Com’è possibile che si continui con i subappalti che non rispettano le condizioni minime? Com’è possibile che ci siano centinaia di operai che lavorano in nero e nessuno, a parte i sindacati, sembri accorgersene? E non vale solo per l’edilizia, il lavoro nero è diffuso anche in altri settori. Io questi non li chiamo imprenditori, li chiamo “prenditori”, perché prendono e basta».
E, allora, il Ponte sullo Stretto come lo vedono questi operai così disillusi e così vessati? «Per noi il Ponte da solo non va bene. Va bene se costruiscono anche strade e binari. Certo, in questo caso, ci sarebbero cantieri, ci sarebbe lavoro».
«Sa cosa stanno facendo gli operai di Messina in questo momento? Stiamo tutti cercando di venire ingaggiati nel cantiere di Fiumefreddo, quello delle Ferrovie. Perché significherebbe uno stipendio sicuro, un orario di lavoro sicuro, un luogo di lavoro sicuro. Significherebbe tornare a vivere, almeno per qualche anno».
In evidenza Foto di LEEROY Agency da Pixabay.
Ci sono imprese serie che cercano operai ai quali danno tutti i diritti
I controlli sono molto seri , il NIL effettua dei controlli puntuali , l’unica pecca è solo quella di controllare in larga maggioranza le imprese che eseguono lavori pubblici , poiché è diceria popolare che lì si celi il malaffare . Chiedo ai lettori e ai giornalisti: quando vi vengono fatti i lavori a casa chiedete il DURC il DURF , l’iscrizione alla camera di commercio , il POS etc ?????