"Da quel giorno non sono più salito su un treno", Riccardo unisce Messina e Milano per dire stop alle aggressioni

“Da quel giorno non sono più salito su un treno”, Riccardo unisce Messina e Milano per dire stop alle aggressioni

Francesca Stornante

“Da quel giorno non sono più salito su un treno”, Riccardo unisce Messina e Milano per dire stop alle aggressioni

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martedì 16 Giugno 2015 - 23:45

Riccardo Caristi, capotreno messinese accoltellato 7 mesi fa a bordo di un treno, ha deciso di raccontare la sua storia e mettere a nudo paure e difficoltà nel giorno in cui l'Orsa ha manifestato in tutta Italia per reclamare sicurezza a bordo dei treni dopo i drammatici fatti di Milano. Un modo per mandare un messaggio di solidarietà ai colleghi Carlo Di Napoli e Riccardo Magagnin.

«Ricordi che treno era?»

«Non ci crederai, ma ci sono alcuni dettagli che la mia mente cerca in ogni modo di cancellare. Poi però ce ne sono altri che non vogliono proprio saperne di andar via. Il ricordo più vivo che ho è il momento in cui ero piegato a terra e non riuscivo a respirare. Ricordo l’aiuto dei macchinisti che sono venuti a soccorrermi, ricordo i viaggiatori che cercavano in ogni modo di darmi conforto. Ricordo che ho cercato con tutte le forze di non perdere i sensi».

Il treno era il regionale 8771 che fa la tratta Messina-Milazzo e su quel treno, lo scorso 13 novembre, Riccardo Caristi è stato accoltellato solo perché stava svolgendo il suo lavoro. Un capotreno colpevole di aver chiesto di esibire il biglietto ad un giovane che non ha esitato a tirare fuori un coltello e a colpirlo, lasciandolo sanguinante in mezzo agli sguardi atterriti dei viaggiatori.

Riccardo non racconta volentieri la sua storia. Riaprire i cassetti della memoria è come tornare indietro a quel giorno e rivivere ogni volta il dolore. Che non è solo fisico, perché quello passa. E’ un dolore che condiziona i pensieri, i rapporti con gli altri, che amplifica sentimenti e sensazioni, che rende cupe le giornate. Oggi però Riccardo ha deciso di tirar fuori ciò che ha tenuto dentro per mesi e lo ha fatto perché forse oggi la sua testimonianza può essere di conforto a chi sta vivendo proprio adesso la sua stessa drammatica esperienza.

Nel giorno dello sciopero nazionale che il sindacato Orsa, in solitudine rispetto alle altre sigle sindacali, ha organizzato per reclamare più sicurezza a bordo dei treni dopo l’ultima drammatica aggressione avvenuta a Milano, Riccardo vuole far arrivare la sua voce a Carlo e ad un altro Riccardo, i due colleghi della Trenord vittime della furia della gang di latinos “MS13”. Carlo Di Napoli, 32 anni e con una bimba di 5 mesi a casa, capotreno, è stato brutalmente ferito ad un braccio con un machete. Riccardo Magagnin, ferroviere in quel momento fuori servizio, è stato pestato a sangue solo perché ha tentato di aiutare il collega. E’ successo pochi giorni fa, quando il treno stava per raggiungere la stazione di Villapizzone, periferia nordovest di Milano. E’ successo per lo stesso motivo per cui Riccardo è stato accoltellato 7 mesi fa nei pressi della stazione di Spadafora.

Per questo Riccardo Caristi ha deciso di fare uno sforzo e raccontare come cambia la vita di un uomo dopo un’esperienza di questo tipo. Vorrebbe essere fisicamente vicino a Carlo che purtroppo non può ancora rendersi conto che la strada verso il ritorno alla normalità sarà tutta in salita. Soprattutto quando in ballo c’è una famiglia.

«La vittima non è mai una sola persona. Ricordo ancora la voce di mia moglie quando la chiamai per dirle che avevo avuto un incidente, che non stavo bene ma che non ero in pericolo di vita. Ricordo quando si addormentava per la stanchezza e l’angoscia con la testa sul mio letto di ospedale. E oggi comprendo il suo terrore al solo pensiero che io possa tornare a lavorare sui treni» racconta Riccardo che però, da quel giorno, sui treni non è mai più salito.

«La prima volta che dopo l’incidente sono passato in stazione ho avuto una sorta di repulsione alla sola vista di un treno e sono dovuto andare via. Hai presente i gatti con l’acqua? Ecco, mi sono sentito esattamente in quel modo, ho avvertito il bisogno di scappar via. Oggi non me la sento ancora di tornare sul treno, neanche da viaggiatore, perché dovrei affrontare troppe cose e so di non essere pronto. Ho paura di non saper più essere in grado di affrontare una cosa del genere, temo le mie reazioni perché quel giorno ha cambiato tutto».

Oggi Riccardo dal punto di vista fisico sta bene, è tornato anche a correre e anche se non tiene più il ritmo di un tempo è contento perché significa che ce l’ha fatta. Ma le ferite del corpo, si sa, guariscono sempre prima rispetto a quelle interiori. Soprattutto quando la storia si ripete, seppur sulla pelle di altre persone.

«Ogni aggressione mi fa sentire indifeso e mi fa tornare a quella mattina. Prima dell’incidente pensavo di essere capace di gestire con freddezza ogni genere di situazione, di avere il controllo del treno e di ciò che accadeva a bordo e invece un bel giorno, all’improvviso, ti rendi conto che non è così. Secondo gli ultimi dati di Trenitalia in 150 giorni di servizio si sono registrate 140 aggressioni, come possiamo sentirci sicuri in queste condizioni? Non voglio fare allarmismo, ma è un dato di fatto. Per questo dobbiamo lottare, scioperare, reclamare attenzione su un problema che sta già degenerando. Qui in Sicilia avevamo chiesto insieme al Movimento 5 Stelle che nel prossimo Contratto di servizio tra Regione e Ferrovie si inserisse la possibilità di far viaggiare gratuitamente gli appartenenti a tutte le forze di Pubblica Sicurezza, in modo che la loro presenza più massiccia possa fungere da deterrente. Abbiamo anche chiesto un incremento della Polfer, mentre invece smantellano presidi. Nel frattempo a livello nazionale i Ministeri dell’Interno e dei Trasporti dicono alle Ferrovie che il problema è tutto suo. E allora mi chiedo e chi chiediamo: c’è la volontà di fare qualcosa o continueremo a riempire giornali e tg di casi di violenza che finora, solo per fortuna, non hanno avuto un epilogo tragico?”.

Rivendicazioni che in questo momento toccano l’Italia intera, da Milano, dove Carlo è ancora in ospedale e cerca di recuperare la funzionalità del suo braccio, a Messina, dove Riccardo oggi dice di essere fortunato a poter raccontare cosa sta vivendo anche se non gli piace farlo e l’unica motivazione gliel’ha data quel collega lontano che neanche conosce e che ieri dal suo profilo Fb ha lanciato un messaggio di sostegno a tutti i colleghi italiani che hanno scioperato per lui e per la sicurezza di tutti. Una questione che non dovrebbe avere bandiere, colori politici, schieramenti, ma che anche in questa occasione ha spaccato sindacati e lavoratori: «Mi domando come alcuni colleghi non si rendano conto che può accadere a ognuno di noi. Proprio per loro avrei voluto indossare la camicia di quel giorno, ancora inzuppata di sangue». Riccardo la conserva ancora perché sente che questo ciclo della sua vita non si è ancora chiuso. E non si chiuderà facilmente se sui treni continueranno ad accadere queste cose. «Ci sono colleghi che hanno paura e che nonostante tutto compiono al meglio il proprio dovere pur in una situazione di oggettiva mancanza di sicurezza. Qualcuno di loro dopo la mia aggressione andava a lavoro con un cacciavite nel borsello per sentirsi più tranquillo e questo non è accettabile».

La sera dell’11 giugno, mentre Carlo e Riccardo venivano aggrediti con un machete, Riccardo Caristi era a casa con sua moglie. Ha appreso la notizia quando era già a letto e quella notte ha dormito a stento. «Ho pensato che non è giusto, ho pensato alla sua famiglia. Un uomo va a lavorare per mantenere e proteggere la sua famiglia e si ritrova all’improvviso a non essere più in grado di farlo. Attenzione, non siamo eroi, facciamo solo il nostro lavoro. Ma vorremmo solo essere messi in condizioni di farlo senza paura».

Un appello poi lo rivolge alla Magistratura: «Non derubricate ciò che è successo in un semplice reato di lesioni aggravate, altrimenti sarà ancora una volta tutto inutile. Fino a quando non ci sarà la certezza della pena episodi simili continueranno ad accadere e alla fine a pagare sarà solo chi rispetta le regole» dice con tono amaro Riccardo che vuole poter continuare a credere in una Giustizia che tutela i più deboli e punisce chi sbaglia.

Adesso Riccardo lavora in ufficio, si sente “parcheggiato” e attende di sapere dall’Azienda cosa ne sarà del suo futuro. Di sicuro non tornerà mai più sui treni regionali perché non se la sente. Il suo percorso sarà ancora lungo, come lo sarà quello dei milanesi Carlo e Riccardo e di tutti quelli che sui treni prendono insulti, botte, sassate, pugni in faccia.

«Non possiamo cambiare il passato ma dobbiamo accettarlo per andare avanti» è il messaggio con cui Riccardo si fa forza e manda il suo sostegno ai due colleghi che adesso devono solo pensare a guarire. Per Carlo, per Riccardo, per tutti quelli che, come ha scritto l’Orsa sui volantini ,“vogliono vivere”, per non dover rivedere più scie di sangue sulle banchine a ridosso dei binari. In tre parole: per la sicurezza.

Francesca Stornante

4 commenti

  1. Ci sono persone che gestiscono una loro attività commerciale che sono stati oggetto di aggressione a scopo di furto e rapina con aggrassione fisica ma non per questo chiudono la loro attività. Orbene, torni a lavorare e vedrà che si riprenderà senza altre complicazioni.E’ bello avere ogni fine mese uno stipendio standosene a casa in attesa di superare uno stato depressivo dovuto ad aggressione. C’é gente che rischia la vita ogni giorno nel lavoro che svolge (vedi polizia e carabinieri) ma tante storie non le fa.

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  2. Ci sono persone che gestiscono una loro attività commerciale che sono stati oggetto di aggressione a scopo di furto e rapina con aggrassione fisica ma non per questo chiudono la loro attività. Orbene, torni a lavorare e vedrà che si riprenderà senza altre complicazioni.E’ bello avere ogni fine mese uno stipendio standosene a casa in attesa di superare uno stato depressivo dovuto ad aggressione. C’é gente che rischia la vita ogni giorno nel lavoro che svolge (vedi polizia e carabinieri) ma tante storie non le fa.

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  3. Diversi anni fa mi trovavo all’interno del ristorante La Macina a Ganzirri per una cena di lavoro allorquando un gruppo di giovani si è presentato in sala con fucili e pistole minacciando di fare fuoco. Siamo rimasti tutti sconcertati e non capivamo se era uno scherzo o altro. Siamo tornati alla realtà quando due dei malviventi hanno cominciato a colpire con il calcio della pistola le persone che trovavano davanti. E’ stato il panico per tutti e le signore hanno cominciato ad urlare e piangere. Ognuno di noi presente ha ricevuto chi un pugno in viso, chi un calcio , chi uno schiaffo ed altre violenze. Voglio dire che tutti l’indomani siamo andati a lavoro e di sicuro eravamo tutti impauriti e feriti oltre che nel fisico anche nell’orgoglio.

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  4. Diversi anni fa mi trovavo all’interno del ristorante La Macina a Ganzirri per una cena di lavoro allorquando un gruppo di giovani si è presentato in sala con fucili e pistole minacciando di fare fuoco. Siamo rimasti tutti sconcertati e non capivamo se era uno scherzo o altro. Siamo tornati alla realtà quando due dei malviventi hanno cominciato a colpire con il calcio della pistola le persone che trovavano davanti. E’ stato il panico per tutti e le signore hanno cominciato ad urlare e piangere. Ognuno di noi presente ha ricevuto chi un pugno in viso, chi un calcio , chi uno schiaffo ed altre violenze. Voglio dire che tutti l’indomani siamo andati a lavoro e di sicuro eravamo tutti impauriti e feriti oltre che nel fisico anche nell’orgoglio.

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