Ricorre oggi il ventennale dalla morte dell'indimenticato primo cittadino dalle bretelle rosse. Due decenni dopo, il suo carisma appare del tutto integro
REGGIO CALABRIA – Cosa resta di Italo Falcomatà, nel ventennale della sua morte?
Innanzitutto, la consapevolezza che, con Italo, l’11 dicembre del 2001 se ne andava definitivamente anche la “Primavera di Reggio”.
Emuli di vario segno e natura per ragioni personali, di talenti, di compagni-di-cordata, caratteriali, legate alle contingenze non sono più riusciti, da vent’anni in qua, ad alimentare allo stesso modo la Spes Ultima Dea cui il console Aulo Attilio Calatino dedicava templi al Foro Olitorio e sull’Esquilino o alla quale Ugo Foscolo, parecchi secoli più tardi, regalava endecasillabi nei “Sepolcri”.
Anzi.
Dai mille guai di bilancio allo scioglimento – primo e fin qui unico capoluogo di provincia – per contiguità mafiose, da misteri a infittire i quali ci si son messi anche i Servizi segreti fino alle valanghe di spazzatura in ogni angolo di strada, in questi due decenni Reggio Calabria ha incontrato molte volte la disperazione più cupa insieme ai suoi abitanti. Per quanto temperata dalle meraviglie progettuali di Zaha Hadid, le gemme in fil-di-ferro di Edoardo Tresoldi, le esibizioni (strapagate) di Elton John, ogni mattonella del Lungomare.
In gran parte è vero che, appena tre mesi dopo la distruzione delle Twin Towers «abbiamo avuto anche noi il nostro 11 settembre», come va dicendo ancor oggi più d’uno tra quanti al “sindaco dalle bretelle rosse” hanno voluto bene.
In una terra in cui molti Pavolini s’atteggiano – ahinoi – a Mandela, in maniera lampante sono poi desaparecidos la lucidità di progetto e la capacità d’elaborazione politica di un Italo Falcomatà. Doti naturali (ma, al contempo, ben coltivate negli anni) che hanno fatto scuola e lo rendono tuttora un indimenticabile, luminosissimo faro della politica calabrese.
E più di tutto manca disperatamente il suo sorriso sincero, la bonomia, la voglia di capire e di ricevere i feedback spontanei dei suoi amministrati nel modo migliore e più immediato: trascorrendo ore interminabili con loro.
Ore a parlarci, ore a ragionare sull’ultimo passamano dell’ultima piazzola collinare di periferia, ore ad arrivar tardi agli appuntamenti istituzionali o personali pur di non negare attenzioni a quel reggino, a quel calabrese che – luogo comune epperò verissimo – «vuol essere parlato».
E forse la prerogativa più incredibile e misterica di Italo Falcomatà è proprio questa. Che inusitatamente, anche nei momenti più difficili di ieri e di oggi, dal suo posto nella Storia dell’antica Rhegion in qualche modo continua, continua a parlarci. E fors’anche ad ascoltarci.
Fermo restando il pensiero rivolto a chi non c’è più…….ma primavera di che? La promozione della squadra di calcio in serie A fu scambiata per un cambio di rotta della città….(????). Tutta fuffa e nulla più.