Indagini chiuse per le 17 persone coinvolte nel blitz della Gdf sulla raffica di furti nei cantieri a Messina
MESSINA – Dopo il blitz del 20 luglio scorso, è arrivata al capolinea l’inchiesta della Guardia di Finanza sulla “banda” di Giostra e i fiancheggiatori che mettevano a segno continui furti e le successive estorsioni col metodo del cavallo di ritorno. Gli indagati finali sono complessivamente 17: si tratta delle 12 persone per le quali sono scattate le misure cautelari un mese fa ed altre cinque persone, coinvolte a vario titolo in singoli episodi di ricettazione. La Procura ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini e si prepara a valutare le prossime mosse.
I nomi
Per tutti loro i provvedimenti adottati a luglio sono ancora in vigore, il Tribunale del Riesame ha detto no alle richieste di liberazione avanzate dai difensori. Sono: Alessio Nostro (32 anni, in carcere), Francesco Bucalo (domiciliari), Pietro Micali (carcere), Giuseppe Astuto (obbligo di firma), Marcello Nunnari (obbligo di firma), Pippo Molonia (obbligo di firma), Giovanni Cantarella (obbligo di firma), Natale Schifilliti (obbligo di firma), Gabriele Fratacci (41, carcere), Gaetano Batessa (34, carcere), Nunzio Buscemi (41, domiciliari), Massimiliano Santapaola (50, obbligo di firma).
Le prossime mosse dei difensori e della Procura
Ad assisterli ci sono gli avvocati Cinzia Panebianco, Alessandro Trovato, Luigi Gangemi, Daniela Garufi, Salvatore Silvestro, Antonio Amata, Alessandro Billè, Carlo Caravella e Giovanni Mannuccia, che adesso potranno esaminare l’intero fascicolo contenente gli “indizi” raccolti dagli investigatori contro gli indagati e decidere se depositare delle memorie difensive. Poi toccherà al magistrato titolare del caso, il PM Giuseppe Adornato, tirare le fila formulando le richieste di rinvio a giudizio per tutti o archiviare le ipotesi d’accusa per alcuni di loro.
I dettagli dell’inchiesta
A mettere nei guai gli indagati, molti dei quali hanno già precedenti con la giustizia, sono state le conversazioni telefoniche e gli sms che si scambiavano. Erano “in codice”, ma gli investigatori li hanno decriptati con facilità, scoprendo come mettevano a segno i furti, di mezzi di lavoro soprattutto. Tutti a Giostra sapevano chi c’era dietro ai raid, spiegano gli inquirenti, tanto che dopo ogni furto chi lo subiva sapeva sempre a chi rivolgersi per tentare di riavere indietro il maltolto. Pagando, però.