Applauditissima performance dell'attore nello spettacolo andato in scena per la rassegna Il Cortile - Teatro Festival
Un corpo che ha fame non è un corpo che smette di mangiare, un corpo che ha fame è un corpo che sta mangiando se stesso. Questa, rivela Angelo Campolo, autore e protagonista di Stay Hungry – Indagine di un affamato, andato in scena presso Palazzo Calapaj-D’Alcontres per la rassegna Il Cortile – Teatro Festival, è stata la più grande sorpresa del suo studio di un corpo affamato.
La fame, quindi ci distrugge nel senso che ci porta ad auto-distruggerci. La fame – di cibo, di salute, di sicurezza – porta migliaia di africani a cercare in ogni modo di raggiungere la civile Europa, a qualunque costo.
Nessuna alternativa
Perché sei salito su quella zattera, dopo aver visto in che condizioni fosse? è la domanda che tanti, prima o poi, ci saremo posti, e a cui Angelo Campolo dà voce nel corso della rappresentazione ripercorrendo un dialogo con Ibrahim.
Cos’altro avrei dovuto fare? Tornare a morire in Mali? Restare a fare lo schiavo in Libia? è l’implacabile risposta.
Stay Hungry racconta l’esperienza di un laboratorio teatrale attraverso il quale Angelo Campolo ha conosciuto alcuni giovani migranti. Si parte dai primi incontri – anzi, ancora prima, dall’idea di partecipare a un bando -, si entra nel parallelo con Teorema di Pasolini, ma si esplora anche l’evoluzione della percezione comune dell’integrazione.
Cinque anni che sembrano venti
Era il 2015, ma sembrano passati vent’anni, ripete spesso Campolo, guardando verso un’Italia che si è scoperta sempre più spaventata da ciò che non conosce, e chiedendosi quando si smette di essere una persona per diventare un concetto. In quale momento un migrante diventa un mero dato economico? E quando il Sud si trasforma soltanto in una statistica di disagio sociale?
Sicilia sempre vicina all’Africa, perché attraversando la regione per parlare nelle scuole del progetto di integrazione, il protagonista-narratore nota come la nostra terra si sia svuotata. Sempre per fame, i nostri figli e fratelli minori hanno dovuto fare i bagagli e sono stati costretti a partire.
La realtà contro il luogo comune
Si ride, guardando Stay Hungry, perché l’incontro tra la diversità porta con sé il paradosso, e Campolo padroneggia l’ironia e i tempi della battuta; ma soprattutto ci si ricorda di come il vero possa abbattere lo stereotipo.
I giovani maliani con cui Angelo Campolo ha lavorato per diversi anni a partite dal 2015 non incarnano affatto certi sgradevoli identikit spesso disegnati da chi un migrante non l’ha mai visto da vicino. Le loro storie – vere, verissime – sono dure da sopportare, ci mostrando orrori cui non siamo abituati, ci tolgono il diritto di lamentarci per i nostri guai. Forse, se le sentissimo al tv, cambieremmo canale. Ma in teatro non possiamo farlo, e Angelo Campolo non ci permette di distrarci, portandoci con sé dove vuole e facendoci tenere sempre la distanza – ora maggiore, ora molto inferiore – che lui sceglie per noi.
Tra le tante domande che l’attore si pone, ce n’è una relativa al teatro in generale. Quando il teatro è diventato una “cosa” in grado di aiutare gli altri? Quando ha smesso di essere violento e distruttivo?
Di sicuro, il suo teatro di narrazione è entrambe le cose, e dolce e amaro come la vita – ogni vita – che mette in scena.
Oltre a questo, Stay Hungry è anche un motivo di orgoglio messinese. Lo spettacolo, infatti, già vincitore del Nolo Fringe Festival 2019, ha recentemente vinto il premio In-Box 2020, aggiudicandosi le ventuno repliche messe in palio.