La fortezza, pubblicato nel 2006, è il terzo romanzo di Jennifer Egan. La scrittrice, nata a Chicago nel ’62, col successivo Il tempo è un bastardo ha vinto sia il National Book Critics Circle Award che il Premio Pulitzer per la Narrativa.
Il castello
Parte del fascino de La fortezza risiede nel luogo in cui è ambientata più di metà della vicenda. Il romanzo inizia con l’arrivo del protagonista Danny, newyorkese doc seppur d’adozione, in un castello – situato nel cuore dell’Europa – appena acquistato da suo cugino Howard. Dopo un’infanzia e un’adolescenza problematiche, Howard è diventato un finanziere di successo, guadagnando milioni di dollari. Arrivato a trentacinque anni, ha deciso di ritirarsi da quel settore per dedicarsi a un altro progetto.
Insieme al conflitto latente tra i due cugini – derivante da un evento della loro adolescenza – il castello è ciò che cattura la mente del lettore. Un luogo misterioso, difficile da mettere a fuoco nella sua interezza, che incute soggezione e paura. Ma anche capace di lasciare senza fiato per la sua bellezza, e di lasciar trasparire una sorta di potere che lo pervade.
Muoversi attraverso il castello è, di fatto, un simbolico percorso di ricerca. Danny è un personaggio perfetto per questo viaggio, e in molti potranno, almeno in parte, ritrovarsi in lui. Si tratta di un personaggio con notevoli punti di forza e di debolezza. Sa osservare le cose andando in profondità, e trovare soluzioni creative – infatti, è per risolvere un problema che Howard lo convoca. Ma è anche confuso, insoddisfatto. Finora la sua vita, sia umana che professionale, ha avuto un andamento tutt’altro che lineare. Inoltre, è tanto dipendente dal telefono e dalle mail da portarsi da New York una speciale antenna, che si rivelerà inutile.
La prigione
Ma La fortezza va ben oltre ciò che accade nel castello. Si scopre presto chi è che racconta la storia. A narrare di Danny è Ray, detenuto per omicidio, che in carcere frequenta un corso di scrittura.
Roba che nel mondo esterno uno chiamerebbe normale o addirittura del tutto invisibile, qui dentro diventa preziosa, acquista funzioni magiche a cui non avevi mai pensato. Una penna rotta è una pistola per tatuaggi. Un pettine di plastica è una lama, cioè un coltello. Un paio di prugne e una fetta di pane sono l’alcol della settimana prossima. Un pacchetto di Kool-Aid è tinta per capelli, un condotto per l’aria è un telefono. Due graffette infilate in una presa della corrente più una mina di matita accendono una sigaretta. E una ragazza come Holly, che nel mondo esterno non ti farebbe neanche alzare la testa per un attimo, qui dentro è una principessa.
Ray sta usando solo la fantasia o parla di ciò che ha vissuto? Era davvero al castello? Era uno dei protagonisti o un comprimario? Queste domande sorgeranno presto nella mente del lettore, che non potrà fare a meno di notare i legami tra i due momenti della narrazione. L’antenna, quasi un feticcio per Danny, richiama la radio su cui lavora il compagno di cella di Ray. Il senso di mancata libertà provato da Danny ricorda naturalmente la detenzione. Ancora, la frustrazione, la voglia di riscatto e la paura avvolgono sia i personaggi immaginati che quelli reali. Ammesso che si possa davvero distinguere chi sia cosa.
Tra reale e immaginato
L’ultima parte del romanzo vede un altro cambio di prospettiva. Il punto di vista è quello di Holly, l’insegnante del corso di scrittura. Questo porterà un movimento sia orizzontale che verticale nella storia, e richiederà una partecipazione sempre più attiva del lettore. Non perché debba essere lui a risolvere un mistero, ma perché non possiamo esimerci dal ragionare sul nostro rapporto con altri, con la realtà e con la fantasia.
La fortezza è un romanzo da consigliare a chi ama la lettura a trecentosessanta gradi, ed è convinto dell’impossibilità di tracciare confini netti, sia nella narrativa che, soprattutto, nella vita.