Quel primo dicembre 1970 che diede inizio alla libertà di dire no.
Divorzio all’italiana è un film del 1961 per la regia di Germi. Vince il premio come miglior commedia nel ’62 al Festiva di Cannes. Ottiene anche tre candidature all’Oscar, vincendo la statuetta per la miglior sceneggiatura originale. Ambientato in Sicilia, il film è una carrellata di situazioni esilaranti che portano sullo schermo le fragilità della relazione, ma anche i costumi, l’etica, le convenzioni sociali e normative.
Libertà di lasciarsi
Narrati in chiave ironica e divertente i protagonisti Ferdinando (Marcello Mastroianni), Angela (Stefania Sandrelli) e Rosalia (Daniela Rocca) si muovono all’interno di una pellicola che, ancora oggi, è uno maggiori esempi cinematografici di analisi socio-morale italiano. E lo fanno quasi un decennio prima che la legge sul divorzio entri in Parlamento. Era, infatti il 1 dicembre del 1970 quando la “libertà di lasciarsi” entra a pieno titolo nel matrimonio.
Doppia morale
Germi denuncia, con questa sua prima opera a cui ne seguiranno altre, le incoerenze malsane del ceto borghese italiano, una doppia morale italiana che predica bene e razzola male. Appoggiata dal sistema cattolico e da una arretratezza legislativa che esclude la possibilità del divorzio e tollera il delitto d’onore. Divorzio all’italiana, in effetti è un vero e proprio manifesto di diritti e di libertà negate. Una rivoluzione per cui si dovrà aspettare ancora e molte lotte dovranno essere fatte. Battaglie che avranno il profumo di un lungo maggio, di un ?68 che cambiò per sempre la storia italiana.
Il no
Il percorso che portò al divorzio e alla sua introduzione in Italia (legge 898 del 1970) non fu facile. E’ solo, infatti, con la dura battaglia referendaria (1974) che finalmente il bel paese dimostrò un cambiamento. Una svolta radicale e profonda rispetto alle ideologie e alle tradizioni. Fu, infatti, il no a vincere. Forse perché è proprio, il “no” la parola più rivoluzionaria del vocabolario. Quel no che si contrappone al si assoluto del matrimonio. Quel no che a volte diventa salvifico, quando ad esempio, permette di scappare da un legame violento. Quel no che “racchiude la libertà piena, la vittoria dell’etica sulla morale. La possibilità di scegliere. La capacità di modificare il corso del proprio e diventarne padroni come scrisse il poeta: “io sono il capitano della mia anima, il padrone del mio destino”.
Si ringrazia l’artista Tiziano Riverso per la vignetta.