Presentata l'antologia di racconti "Cara Messina ti scrivo ancora"
E’ stato presentata domenica 16 febbraio u.s. nella suggestiva cornice del Circolo “Thalatta” di Messina, vera e propria finestra sullo Stretto, l’antologia di racconti “Cara Messina, ti scrivo ancora…” (Edizioni La Feluca, 2020). Gli autori Alfredo Buttafarro, Maurizio Cinquegrani, Ignazio Pandolfo, Giuseppe Piciché, Vincenzo Ragno, Giuseppe Ruggeri, Pasquale Russo, Domenica Scimone, Mario Oscar Venuti, Patrizia Vicari hanno raccontato una Messina sospesa tra mito e storia, sogno e realtà, che si mostra in tutta la sua sfolgorante bellezza di città di mare protesa sul mondo malgrado gli insistenti tentativi di emarginarla insieme alla Sicilia di cui è millenaria porta d’ingresso.
L’evento
Circa duecento persone hanno partecipato all’evento, introdotto dal Presidente del Circolo Silverio Magno e coordinato da Milena Romeo. Curatore e coordinatore del progetto Giuseppe Ruggeri, editore Gianluca Buttafarro, sulla scia del precedente “Cara Messina ti scrivo …” pubblicato nel 2013 sempre per La Feluca Edizioni.
Cara Messina ti scrivo…
La storia di ogni città passa sotto i suoi ponti, come un fiume destinato a non lasciare traccia. Sul greto di quel fiume sedimentano, a strati, le epoche che si succedono, ma nessuno può accorgersene perché l’acqua dilava le cose, facendole uguali l’una all’altra, omologa tutti quegli strati in un unico spessore.
Come quell’acqua è il tempo, un flusso inarrestabile di eventi governati dal disordine sotterraneo che li rende asimmetrici, apparentemente privi di significato. I fisici, che esplorano i sistemi, chiamano entropia il disordine degli eventi, la loro caotica sovrapposizione che ne cancella alcuni per farne emergere altri, e dopo questi altri, altri ancora fino a quando non è dato sapere.
Anche l’acqua ha una memoria
Ma dicono, sempre i fisici, che l’acqua ha anche una memoria, cioè una traccia che vi rimane impressa tutte le volte che questa stratificazione si forma. La memoria dell’acqua, ebbene, altro non è se non la traccia che il tempo imprime su di noi mutandola in ricordo, la capacità ovvero di fissare gli eventi che divengono così fruibili per le generazioni future.
Il progetto che nutre “Cara Messina, ti scrivo ancora …” è tutto qui. In questa memoria dell’acqua che, passando sotto i ponti della storia, filo per segno la recita come una favola, la favola dei mostri diventati correnti marine, di pescatori eroici che sostengono isole galleggianti, di sibille che declamano versi millenari a platee invisibili. Il mito che si traduce in storia in una terra che, se avara di risorse, certo non lo è di fantasia, quel tocco divino in grado di rendere bello il mostruoso, struggente il dolore, palpitante l’attesa del ritorno,
Il mare, elemento-simbolo
In città affacciate sul mare, elemento-simbolo per eccellenza della vita perché essa da quel mare è provenuta, l’immaginario ha preceduto – e spesso sopravanzato – la storia, e così facendo l’ha resa credibile perché, come dice Borges riguardo la scrittura “la letteratura è la più reale delle finzioni”. E dalla finzione-storia di Messina prende le mosse un volume di racconti – dieci in tutto – che altrettante penne cittadine hanno voluto collazionare seguendo il “fil-rouge” del parallelismo tra reale e irreale, ove quest’ultimo, a ben vedere, altro non è che proiezione di un vero troppo spesso mascherato da false sembianze. Autori che hanno “immaginato” una Messina – passata, presente e perfino futura – vestita con gli abiti della verosimiglianza. Una verosimiglianza che la fa scintillare, proprio come una splendida dama, alla luce del sole riflessa sul “mare colore del vino” che la abbraccia.
Ed è proprio questa l’unica sintesi possibile tra vero e non-vero, in un eterno gioco a nascondere che rende reale l’irreale e viceversa: la verosimiglianza. A Messina, ripercorsa attraverso i suoi miti che ne sorreggono la colonna piantata nella profondità dello Stretto, si sono incontrati dieci messinesi che, raccontando, si sono raccontati, individuando radici profonde in un substrato che l’acqua del tempo avrebbe dilavato senza il soccorso della memoria. Una verosimiglianza di eventi snocciolati in forma di fluida narrazione, di quadri spazio-temporali che a volte si ripetono da un autore all’altro perché non può mancare tra di loro l’empatia che li ha condotti a ritrovarsi insieme a indagare sulle radici di cui si diceva.
Il tutto, forse, per riprendere un discorso interrotto a metà, per dar fiato a tante voci che avevano smarrito l’”ubi consistam” perché travolti dal flusso impetuoso di un fiume che continuava imperterrito a scorrere sotto i ponti della nostra indifferenza, del nostro debole senso d’appartenenza civile, del nostro mancato sentimento sociale.
GIUSEPPE RUGGERI