Protagonista del romanzo, firmato dallo scrittore letojannese, è uno stravagante professore di filosofia
LETOJANNI – Una storia avvincente. Che sa di onirico e fantastico. Una vicenda che trae spunto dalla formidabile ispirazione dell’autore, sempre intento ad una sperimentazione narrativa a tratti surreale. E poi il protagonista, un professore di filosofia stravagante e pieno di problemi. C’è questo e molto altro nell’ultimo romanzo dello scrittore letojannese, Enrico Scandurra, uscito per Algra Editore. Un romanzo breve o un racconto lungo, intitolato “La misteriosa fine del professore Alberto Mazzaglia”, che è la storia di LUI, il professore del Liceo che ha frequentato l’autore che, come il più noto John Keating, ha accompagnato e segnato la crescita intellettuale ed emotiva di centinaia e centinaia di studenti, tra cui l’autore stesso. LUI è l’insegnante che tutti avremmo voluto avere, che guarda le cose da varie angolazioni e per questo non parla mai a sproposito, non dà nulla per scontato, ama il suo lavoro e soprattutto aiuta i suoi studenti ad ascoltare e vivere liberamente i propri moti interiori.
Insomma, come si direbbe oggi è un facilitatore che, grazie alla propria capacità empatica, sa costruire rapporti interpersonali e creare contesti di collaborazione che favoriscono lo sviluppo armonico della persona e un apprendimento sereno. Enrico Scandurra ci immette subito sin dall’incipit in una classe liceale alle prese con la lettura del De Rerum Natura. L’aula è invasa dal forte odore della zagara appena germogliata. L’atmosfera “greve” è interrotta dall’irruzione allegra e chiassosa del professore Mazzaglia, illustre professore di Filosofia. Conosciamo così il nostro LUI e non possiamo che innamorarcene subito. Eppure, LUI è pazzerello, stravagante, ma anche riservato, tanto da mancare da scuola per alcune settimane e non raccontare a nessuno il motivo. Il paese è piccolo e si mormora che il professore è malato di “uno strano male al cuore”.
Il centro vitale della narrazione di Enrico è la terra dove è nato, cresciuto e dove vive. La Sicilia in senso lato e Letojanni, il suo paese natio, in particolare. I suoi racconti, infatti, sono sempre intrisi di salsedine, di sole, di mare ma anche e soprattutto della gente semplice e laboriosa che qui abita. Anche in “La misteriosa fine del professore Alberto Mazzaglia” troviamo la sicilianità dei paesaggi che si affacciano sul mare Ionio e in particolar modo la meravigliosa varietà dei volti dei personaggi reali: il preside, i colleghi, il medico condotto, lo specialista, la fioraia, il locale cronista e i vicini di casa. Enrico ci propone un’Isola, la nostra, al plurale fatta di palcoscenici naturali e umani e noi pur conoscendola non possiamo non rimanerne folgorati. Nelle storie di Enrico Scandurra però – e in tal senso anche questa non ne è scevra – incontri il fantastico, l’immaginario, l’irreale, il sognato, il surreale, il visionario. Con un volo pindarico, infatti, siamo proiettati in un futuro lontano, il 2070. Ma che ruolo hanno il tempo e lo spazio nella narrazione? Per Enrico in questo racconto è come se entrambi assumessero un significato simbolico. Li manipola sapientemente e liberamente per stabilire la distanza di tempo che intercorre tra l’epoca della narrazione e il tempo in cui gli eventi sono narrati. Forse osiamo dire per farci accettare il mistero che coinvolge il professore e la sua strana malattia al cuore.
Insomma, veniamo proiettati in avanti. In un tempo quando e in un luogo dove tutto sembra esattamente com’è oggi ma al contempo tutto è diverso da oggi, proprio perché un giorno un vecchio professore all’improvviso si vede fiorire nel petto una rosa rossa. Una vera rosa rossa con le spine, le foglie verdi, i petali profumati. Allora proprio come in “Le metamorfosi” di Ovidio o “La metamorfosi” di Kafka anche Alberto Mazzaglia avrà all’inizio paura della sua trasformazione, nasconderà la rosa per imbarazzo, poi la mostrerà solo alla fioraia per farla recidere e infine andrà da medici e sapienti per ricevere consulti e comprendere cosa gli sta accadendo. E solo allora abbraccerà con fierezza l’idea che il suo cuore non è malato ma è sacro. Una vicenda che ha il sapore, come già detto, del visionario, così come i “Sette piccoli sogni”, raccolta di racconti pubblicata nel 2020 sempre per Algra Editore, e che ha segnato in Enrico Scandurra l’inizio della sperimentazione narrativa più insolita: far convergere la realtà con l’irrealtà.
Le firme raccolte sono più di 230, si cerca di sminuire la protesta. Ritengo che la seduta nella quale è stato deciso di spostare i due indirizzi sia stata una trappola ben orchestrata .