"L'impossibilità di incontrare gli altri in situazioni conviviali ha portato alla luce "l'emergenza dell'altro" che è la necessità più profonda dell'uomo."
Mai tante emozioni e mai tutte insieme hanno caratterizzato la vita delle persone come nell’ultimo anno. Paura del contagio, della malattia, della morte, della solitudine. Soprattutto paura di non tornare a quella normalità sociale che oltre a permettere una vita mediamente serena crea le condizioni per progettare il futuro. Si, perché forse la paura più grande, la sintesi di tutti i discorsi fatti nell’ultimo anno è il terrore di non avere più un futuro, oltre che individuale, sociale. In questo contesto l’arrivo del vaccino ha portato una sorta di sollievo generale, ha aperto una speranza ma ci siamo chiesti quali conseguenze resteranno, quali abitudini cambieremo e quali scoperte abbiamo fatto su noi stessi con questa pandemia. L’incontro con lo psichiatra, psicologo clinico e psicoterapeuta Antonino Mangano ha risposto alle nostre domande.
Dottore, relativamente alla sua esperienza, cosa può dirci?
“Il disappunto delle persone inizia ad amplificarsi in relazione al fatto che stiamo facendo molti sacrifici, ma pochissimo cambia. Il virus continua a circolare e il numero dei morti resta alto. Queste misure quindi se da un alto non producono un effetto sostanziale per bloccare la pandemia di converso generano un aumento delle patologie psichiatriche e psicologiche. Sono aumentati ad esempio in maniera esponenziale gli attacchi di panico. Alimentanti non dal covid, ma dalla maniera “forzosa” di condividere spazi familiari che ha determinato una diversificazione delle relazioni. In sintesi sono venuti a mancare gli “spazi di indipendenza necessari”. Scuole chiuse, lavoro in smart working non permettono più quel distacco utile, quello “sfogo” fondamentale per riprendere le giuste distanze emotive e potersi ritrovare. La convivenza forzata, quindi, ha portato, ad una anomalia dei rapporti che si traduce in patologie psichiatriche importanti.
Questo succede nelle convivenze “forzate”. Ma rispetto ai rapporti sociali?
“Diventa ancora più complesso. Di fatto è vietato abbracciarsi, toccarsi, relazionarsi. Tutto questo è contro natura perché l’uomo è un animale sociale. Quali gli effetti a lungo termine? Sicuramente stiamo andando verso un stravolgimento delle regole naturali in cui internet sarà sempre più presente. Nell’impossibilità di toccarsi diventa più esasperata la ricerca di nuove modalità sviluppate dalla tecnologia. L’America, anche in questo caso è pioniera, è in circolazione ad esempio, una tuta dotata di vari microsensori che una volta indossata può essere gestista attraverso un’app permettendo così di “toccarsi” a distanza. Con ripercussioni sulla psiche ancora più complesse e a lungo tempo sempre più di trasformazione della personalità. In più, questa situazione ha innescato una crisi di progettualità in una società in cui i giovani vivono già la speranza del lavoro in una prospettiva quasi vicina allo zero. Il covid ha tolto anche questa piccola percentuale nella visione generale di un futuro “plausibile” e “progettabile”.
Quali le conseguenze? E Come possiamo reagire a paure così profonde?
“Tutto quello di cui abbiamo parlato fino ad ora si traduce in attacchi di panico, conflitti, depressione autolesionismo e tentativi di suicidio soprattutto nei più giovani. Gli unici strumenti ai quali possiamo fare appello sono quelli delle passioni non importa quali sportive, artistiche, intellettuali. Anche le più semplici l’importante è trovare un modo per esprimere le emozioni soprattutto le più profonde. Questo tipo di attività possono aiutare a far emergere il disagio, il conflitto e nello stesso tempo “staccare” la mente dal pensiero costante della paura ed evitare l’effetto “pentola a pressione” .
Dottore, con questa pandemia abbiamo scoperto che “da soli non ci bastiamo davvero”?
“Naturalmente prendo la sua domanda come provocazione perché imparare a stare da soli è fondamentale per stare bene con gli altri, ma è anche vero che questo tipo di messaggio ha scatenato spesso modalità narcisistiche che non sono sempre la soluzione nella ricerca della felicità personale. Il mio “basto a me stesso”, il mio “mi piaccio”, il mio “mi guardo allo specchio e sto bene” non è sempre fonte di una felicità piena. Lo ripeto, siamo animali sociali. Nessun mio piacere personale può eguagliare il piacere della donazione, della partecipazione, della socialità. In quest’ottica l’impossibilità
di incontrare gli altri in situazioni conviviali ha portato alla luce “l’emergenza dell’altro” che è la necessità più profonda dell’uomo.”
Questi articoli dovrebbero comparire più spesso. Complimenti