Il discorso di Giuseppe Martino, presidente provinciale dell'Anpi di Messina, per il 25 aprile
MESSINA – Pubblichiamo il discorso di Giuseppe Martino, presidente provinciale dell’Anpi di Messina, Associazione nazionale partigiani d’Italia, pronunciato in occasione della cerimonia del 25 aprile.
Non si può e non si deve mistificare la storia: questa è la lezione che vogliamo trarre da questo 25 aprile 2023. Il rigore e il metodo che si mettono nella ricerca storica hanno a che vedere con la
moralità, con la moralità e l’onestà intellettuale di chi ricerca la verità. Non se ne può fare a meno, pena la distorsione dei fatti storici, la loro mistificazione e l’inganno in cui si trascina il discorso pubblico.
La ricostruzione degli avvenimenti che hanno riguardato fascismo, Resistenza e nascita della Repubblica è stata compiuta progressivamente dagli storici italiani, che hanno dato vita a una narrazione sempre più articolata, fondata su fonti certe, attraversata dalle domande che ogni generazione ha posto nuovamente al proprio passato.
Ricordiamo le partigiane messinesi
Si è giunti così alla interpretazione di Claudio Pavone e alla sua proposta di vedere nella Resistenza tre guerre in una: la guerra patriottica di liberazione, il conflitto di classe, la guerra civile. Grazie a questa proposta storiografica si sono sviluppate tante ricerche su aspetti prima rimasti in ombra, quale ad
esempio la partecipazione dei militari italiani alla Resistenza, che all’inizio non era stata valutata adeguatamente. Sono emerse poi le figure delle donne e il loro ruolo nella lotta di Liberazione. A questo proposito l’Anpi di Messina vuole ricordare alcune di loro, le partigiane messinesi Maria Gurrieri, Elena Nardari, Fausta Segrè ed Eliana Giorli.
Sono state recuperate le loro vicende grazie al fatto che l’Anpi non è soltanto un’associazione combattentistica, ma è anche un’agenzia di ricerca storica, ed è anche un’agenzia di attività pedagogica, come dimostra l’impegno profuso nelle scuole di ogni ordine e grado.
La ricerca storica, seria e curiosa allo stesso tempo, s’è posta a un certo punto la questione della partecipazione meridionale alla Resistenza. Negli ultimi anni sono state proposte diverse pubblicazioni che rispondono a questa domanda, facendo riemergere le storie dei siciliani, dei calabresi, dei napoletani, che marcarono una forte presenza nel movimento resistenziale. Grazie alla ricerca, rigorosa e appassionata allo stesso tempo, oggi possiamo rivendicare, ad esempio, la presenza di un giovane di Raccuja, della provincia di Messina, fra i partigiani che liberarono il Friuli e Lubiana dai fascisti e dai nazisti. In realtà a dare corpo alla lotta di liberazione fu una pluralità di persone che venivano dalle culture politiche presenti nel Paese e represse dal fascismo: quelle liberale, cattolica, azionista, socialista e comunista, libertaria e persino monarchica.
Nel corso degli eventi a loro si unirono pezzi dell’esercito, delle forze dell’ordine (ricordiamo il funzionario di polizia e partigiano messinese Giuseppe Cascio ucciso a Mauthausen), persone spoliticizzate che avevano aperto gli occhi sulla vera natura del fascismo e persino disertori degli eserciti stranieri, tedeschi compresi. All’interno della Resistenza, infatti, si incontrano, convivono, si scontrano e si mescolano motivazioni, esperienze, slanci, idee e ideali i più diversi. La complessità è soprattutto nei fatti. Affrontare questa complessità non con rigore storico, ma con superficialità, fa destare preoccupazione. Ne derivano dichiarazioni, decisioni e comportamenti, che, soprattutto se assunti da rappresentanti delle istituzioni, appaiono del tutto inadeguati. A meno che non perseguano l’obiettivo di ridurre la Resistenza e la Costituzione democratica a un elemento episodico, per così dire, “trascurabile”. Mentre in realtà Resistenza e Costituzione sono state una forte cesura nella storia d’Italia, una cesura positiva in direzione della liberazione.
Ottant’anni fa la dittatura fascista vacillava dopo i vistosi rovesci militari su tutti fronti, i bombardamenti alleati, gli scioperi politici del ’43 e lo sbarco degli alleati in Sicilia. Il 25 luglio il re destituisce Mussolini e lo fa arrestare e nomina al suo posto il maresciallo Badoglio. Le trattative segrete con gli alleati portano all’armistizio siglato con gli angloamericani. I tedeschi reagiscono rabbiosamente, il re e il suo governo scappano al Sud. Si dileguano l’autorità statale e la catena di comando, crolla l’esercito. È “il si salvi chi può”.
Dopo tre anni di guerra condotta con la Germania nazista come stato aggressore, l’Italia diventa un paese occupato, il centro sud dagli alleati, il centro nord dai tedeschi e dai repubblichini fascisti. Ma già in questi frangenti, nel caos dell’8 settembre, gli antifascisti storici e i quadri dei partiti democratici si schierano e passano all’azione. Ad essi si uniscono molti militari sbandati, ufficiali e soldati che decidono di non tornare a casa e di continuare a combattere contro i nazifascisti. Molti di loro sono del Sud, anche tanti siciliani. Molti di loro sono renitenti chiamati alle armi dalla Repubblica sociale che aveva deciso di dotarsi di un proprio esercito comandato dal criminale di guerra Rodolfo Graziani.
Gli Internati Militari Italiani (IMI) sono militari, che catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre in Italia e su tutti i fronti di guerra, si rifiutarono di arruolarsi nell’esercito di Salò e finirono nei lager nazisti. Rifiutare di obbedire al governo di Salò vuol dire diventare fuorilegge, darsi alla clandestinità, raggiungere le montagne, unirsi alle bande partigiane e automaticamente combattere contro tedeschi e fascisti. Nella prima parte del 1945 si stimano 130.000 partigiani a fronte di 160.000 soldati fascisti. Alla fine i combattenti per la libertà salgono a 250.000 nell’imminenza dell’insurrezione. A questi bisogna
aggiungere tutti coloro senza i quali non sarebbe stato possibile operare nella clandestinità. Ma un ruolo fondamentale hanno rivestito le donne partigiane, staffette e/o combattenti, non solo spinte dalla volontà di sostenere gli uomini ma decise a vivere un’esperienza di libertà e di emancipazione, mettendo in gioco se stesse e la capacità di agire e di decidere in autonomia, fuori dai tradizionali ruoli domestici a cui il ventennio fascista le aveva relegate. 21 donne, successivamente, sono state madri costituenti impegnate, tra gli altri, a redigere e votare la nuova Costituzione democratica e antifascista.
La XII disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana vieta la riorganizzazione del Partito Nazionale Fascista. Pur essendo inserita tra le disposizioni transitorie e finali, ha carattere permanente e valore giuridico pari a quello delle altre norme della Costituzione.
Questi sono i fatti, in sintesi, che la ricerca storiografica ha stabilito, a dispetto delle ricostruzioni fantasiose o ideologiche di chi cerca di autoassolversi delle proprie scelte sbagliate.
Definire il generale Rodolfo Graziani in criminale di guerra è esagerato, anche se è stato un mediocre generale, almeno lui credeva di operare per il bene dell’italia, in quanto a crimini di guerra andate a vedere quelli perpetrati dai partigiani comunisti, c’è un libro di un noto giornalista che non menziono per evitare pubblicità che ne racconta tanti, in quanto al numero dei partigiani 250000, al 22 aprile, quando la guerre era già finita non commento, dico soltanto che i tre quarti di essi qualche anno prima magari erano a piazza Venezia.
Decisamente una ricostruzione non storica.. Rimandato a settembre