Sono molti gli scrittori che hanno raggiunto la celebrità solo dopo la propria morte. Uno dei più famosi è sicuramente Franz Kafka. Meno noto al grande pubblico è il nome di John Kennedy Toole, eppure col passare degli anni il suo Una banda di idioti è diventato un vero cult.
L’autore e il manoscritto
Nato a New Orleans nel ’37, John Kennedy Toole, dopo la laurea alla Tulane University e un Master alla Columbia divenne professore assistente d’inglese alla University of Southwestern Louisiana. Nel ’61 si arruolò nell’esercito, e dopo l’esperienza militare tornò a insegnare. Contemporaneamente svolse i lavori più disparati, che probabilmente gli fornirono l’ispirazione per diverse vicende proposte ne Una banda di idioti (titolo originale A Confederacy of Dunces).
Il manoscritto venne inizialmente accolto con entusiasmo da un editore newyorkese, che però in seguito preferì non pubblicarlo. La motivazione era che il romanzo “in realtà non parla di nulla”. Per Kennedy Toole fu un duro colpo. L’uomo lasciò il lavoro e sprofondò nell’alcolismo. Nel marzo del 1969 si suicidò con i gas dell’auto, collegando con un tubo la marmitta all’abitacolo. Ancora oggi si discute sulle cause del suicidio. Kennedy Toole aveva lasciato un biglietto, ma questo venne distrutto dalla madre, che in seguito fornì versioni discordanti circa il suo contenuto.
La determinazione di una madre
La madre di Kennedy Toole cercò per lungo tempo di far pubblicare il romanzo del figlio. Dopo numerosi rifiuti, entrò in contatto con Walker Percy, scrittore e docente universitario. Percy riceveva così tante richieste di visionare manoscritti inediti da aver imparato a declinare, ma l’insistenza della donna ebbe la meglio e, a malincuore, lo scrittore iniziò la lettura de Una banda di idioti.
“Non avevo più scuse per tirarmi indietro” raccontò in seguito Percy. “Mi rimaneva soltanto una speranza: che le prime pagine fossero talmente brutte da farmi sospendere la lettura con la coscienza tranquilla. Di solito ci riesco e a volte mi è sufficiente leggere il primo paragrafo. L’unica paura era che non fosse proprio brutto, o proprio bello, nel qual caso avrei dovuto continuare a leggere. Questo romanzo lo lessi fino in fondo. All’inizio con l’acuta sensazione che non fosse abbastanza brutto da consentirmi di smettere, poi con una punta d’interesse e via via con sempre maggiore emozione, che sfociò alla fine in incredulità: non era possibile che fosse così valido”.
Il romanzo e il protagonista
Finalmente, nel 1980, undici anni dopo la morte di Kennedy Toole, Una banda di idioti venne pubblicato. L’anno dopo, all’autore venne conferito postumo il Premio Pulitzer per la Narrativa.
Appartenente al genere picaresco, Una banda di idioti è ambientato a New Orleans nei primi anni sessanta. La città, descritta in modo parzialmente onirico per quanto riguarda la geografia fisica, e assolutamente realistico circa la sua multiculturalità, è uno dei punti di forza dell’opera. Un altro, probabilmente il principale, è il protagonista Ignatius J. Reilly. Sovrappeso, goffo, eccentrico nel vestire, laureato in folosofia medioevale, Ignatius è una sorta di Don Chisciotte moderno. Perennemente – perché costretto dalla madre – in cerca di lavoro, svolgerà quelli che trova in maniera tale da lasciare di sasso il lettore. Ipocondriaco, affetto da manie di persecuzione e grandezza, Ignatius è un uomo contro tutto e tutti. Ce l’ha con bianchi e neri, intellettuali e ignoranti, maschi e femmine, e soprattutto con la propria madre, nonostante l’enorme pazienza che la donna mostra nei suoi confronti.
Così, lo scrittore Stefano Benni riguardo a Ignatius nella prefazione de Una banda di idioti: “L’America ha molte facce, ma quasi tutte hanno paura di Ignatius. Perché nel suo corpaccione riassume tutto ciò che l’America non ammette di essere. Drogata di televisione, bulimica di pestiferi hot dog e bibite gasate, delirante e razzista. E Ignatius rincara la dose: onanista inveterato, odioso coi vicini, cattivo con la mamma, improduttivo, sporco. Ma non importa: il mostro Ignatius sa che esistono mostri ben peggiori nella società americana, e non fa niente per rendersi gradevole. Percorre New Orleans come un vendicatore, tormentando vecchiette, aizzando negri, provocando i poliziotti. Tutto, pur di essere unico, pur di esistere e di non lasciarsi ingoiare dal conformismo americano, dalla levigata indifferenza della grande città”.