Al museo, da un'idea del direttore Micali, in scena una grande Maria Pia Rizzo. Il testo di Arimatea sulla storica dell'arte e la regia di Currò e Faillla
MESSINA – Il 20 e 21 dicembre è andato in scena al Museo regionale, in prima nazionale, lo spettacolo nel ricordo di Maria Accascina. Si tratta della Direttrice del museo nazionale messinese dal 1949 al 1963. Una produzione Museo regionale di Messina, da un’idea di Orazio Micali, attuale Direttore, adattamento del testo di Giusi Arimatea e produzione video di Gabriella Sorti, con adattamento teatrale curato dal Clan degli Attori, la direzione di Giovanni Maria Currò e Mauro Failla e l’interpretazione di Mariapia Rizzo (nella foto di Rino Labate).
Una pregevole commemorazione, da tempo in cantiere, che sta accompagnando l’iter regionale, da parte dell’Assessorato dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, dell’intitolazione museale alla stessa Maria Accascina, meritoria di celebrazione proprio nei luoghi che la videro protagonista. La Sua esistenza è stata consacrata alla cura del patrimonio artistico, tratto identitario di un territorio, da salvaguardare e custodire per esser fruito e valorizzato, attività tutte alle quali la storica dell’arte si dedicò con determinazione, dedizione e autentico amore, e per questo va giustamente eternata.
Risoluta e al contempo piena di grazia, la sua figura è stata restituita agli astanti nella resa magistrale e delicata di una grande Mariapia Rizzo, con il garbo consono a disseppellire dalla coltre dell’oblio colei che ha preservato i nostri gloriosi reperti dalle minacce del tempo e dall’incuria e inciviltà dell’uomo.
Apprezzabile e ben condensato lo script, un sapiente lavoro documentale, tuttavia denso di fascino nel rintracciare i codici e ricreare le atmosfere dell’epoca e i frangenti che la videro in azione anche nel messinese, senza tralasciare i tratti salienti esistenziali e della sua formazione.
Discreta e ben calibrata la regia di G. M. Currò e M. Failla, che ha scavato e riportato alla luce il prezioso materiale, operando per sottrazione, in una armonica scenografia, assai minimalista, che ha mostrato la scrivania di lavoro della Accascina, con pochi oggetti consoni e riferibili all’epoca in trattazione, con l’ausilio di immagini di repertorio, ricostruite in video e di musica del tempo, anche operistica, quali l’aria “Una furtiva lacrima” di Donizetti.
Quanto di seguito esporrò sulla Accascina è stato scandagliato e, ponendo in atto nel contempo una coraggiosa operazione di sintesi, messo in scena in questa pièce volutamente non enfatica.
Storica dell’arte, nata a Napoli nell’ultimo scorcio dell’800, ma originaria di Mezzojuso, operò nel XX secolo rilasciando la sua pregevole impronta nell’ambito della ricerca e della tutela del patrimonio storico artistico. Perfezionatasi nella capitale romana in storia dell’Arte Medievale, partì dallo studio dell’oreficeria di quell’epoca, sulle tracce degli insegnamenti del Suo Maestro, Adolfo Venturi, riuscì, però, approfondendo, ad ampliare lo spazio di indagine ai diversi settori delle arti decorative, in special modo siciliane, considerate non arti minori, ma “pares inter pares”, arti applicate ,fino a quelle contemporanee. L’insegnamento della Storia dell’arte al Liceo Umberto di Palermo fu molto formativo e riuscì a coinvolgere appieno gli studenti.
Fu ispettore dal 1927 della Regia Amministrazione delle Belle arti, addetta al Regio Commissariato per la Tutela degli Oggetti d’Arte Siciliani, e venne così a conoscere le opere d’arte inedite, e memore della lezione venturiana, si cimentò nel “vedere e rivedere”. Il suo gusto era quello dei percorsi ardui e degli orizzonti vasti, e lo seguì con forte anelito e appassionato, tentando di colmare le lacune della letteratura artistica, sussistenti nonostante i contribuiti di valore di Agostino Gallo e Gioacchino Di Marzo e di filologi quali Nino Basile e Filippo Meli, che non erano riusciti a immettere la conoscenza dell’arte siciliana nel circuito extra isolano.
Nel 1928 otteneva l’incarico di ordinare la sezione di opere d’arte medievali e moderne del Museo Nazionale di Palermo, e da ciò trasse spunto per pubblicazioni sulla museologia nel “Bollettino d’arte” del 1929 e 1930.
Il criterio di selezione espositiva, affermava, andrebbe sempre motivato e individualizzato e spesso articolato in sotto-sezioni. Conseguì poi la libera docenza presso gli Atenei di Roma, Cagliari e Messina, e fra il 1934 e il 1941 svolse attività di critica d’arte per il “Giornale di Sicilia” e scrisse per Enciclopedia Cattolica e Enciclopedia Italiana Treccani .
Nel 1937 inaugurò la “Mostra d’arte sacra delle Madonie”, allestita a Petralia Sottana, e da allora si espresse anche quale fervida organizzatrice di manifestazioni artistiche, ritenendo che una esposizione dovesse essere la risultanza di competenza, entusiasmo di offrire l’inatteso, gioia di valorizzare l’ignorato e amor di patria.
Il suo ricordo dei tesori di Geraci Siculo, in particolare di un armadio della Sacrestia della Chiesa Madre, è emerso limpido e toccante nel corso della rappresentazione teatrale. Sovente denunciò il degrado in cui versava il patrimonio artistico isolano, come la Zisa e la Cuba.
Questa carrellata “ab imis” per giungere alla sua opera presso il Museo messinese, a seguito dell’incarico del 1949, per rifarne l’ordinamento sconvolto dai bombardamenti del secondo conflitto bellico con moderni criteri, superando le condizioni indecorose, anche per sussistenza di macerie e immondizie, lurida pavimentazione, soffitti a travature scoperte, pareti tinteggiate quali osteria di campagna, quadri sovrapposti in parecchi ordini, carenza di un criterio espositivo cronologico,e situazione amministrativa disastrosa,con l’ultima inventariazione risalente al 1929,e la sussistenza di tre volumi “tout court”,con pagine colme di abrasioni e cancellature, che vennero subito denunciate in relazioni ufficiali di lavoro, in forma secca e precisa, richiedendo anche fondi per rendere la sede più idonea,soprattutto i locali della filanda Mellinghoff. Venne intanto censita ogni scultura,rilievo o frammento architettonico, e l’inaugurazione giunse il 6 giugno 1954 alla presenza del Ministro della Pubblica Istruzione Martino; nel 1959 sono attestati dalla stampa cinquantamila visitatori nella settimana dei musei. Propiziò anche l’apertura di nuove sale dedicate alle arti decorative; tante le ultronee iniziative, quale curatrice di mostre, conferenziera ,redattrice di articoli, oltre l’impegno messinese.
La Accascina concluse la sua esistenza terrena a Palermo il 31 agosto 1979, mai disgiungendo la passione dal rigore e dalla metodologia scientifica. Alla studiosa sono stati riferiti testi soprattutto sull’arte del 700 in Sicilia e sulla oreficeria siciliana, presso la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana sussiste un Fondo a Suo nome,e altre manifestazioni commemorative sono in programma a cura del medesimo Ente Regione.
Rammento inoltre che proprio a Maria Accascina è dedicato l’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia, quale strumento scientifico del Dipartimento Culture e Società dell’Università degli Studi di Palermo, attivo dal 2006, per divulgare mettere in valore le opere d’arte e decorative, partendo proprio dalla Sicilia e dagli studi pionieristici della nostra protagonista: a Palermo, nell’ambito della “Sicilia delle donne”, il Comune ha ricordato nel marzo 2023 il Suo genio, per aver contribuito al progresso umano, scientifico e culturale italiano.
In conclusione, una bella prima consacrazione di un modello femminile di innegabile statura umana e professionale, meritorio di rivivere attraverso gli strumenti precipui del teatro, quale referente del mondo dell’arte e della ricerca, in grado di concepire il Museo quale “specializzato” e degna di plauso anche per l’impegno civile per la salvaguardia e il recupero delle opere in tempo di guerra o in occasione del terremoto del Belice del 1968, con il forte messaggio sociale di studiosa che ha rivendicato il ruolo attivo della donna e la perenne vitalità dello spirito siciliano.