Un film post-apocalittico tratto dall'omonimo fumetto di Gipi. Da non perdere.
Un film magistrale, che parla con una delicatezza assoluta del tema della catastrofe. Il buon selvaggio non esiste, sembra suggerire il regista Claudio Cupellini. Eppure reminiscenze umane si fanno largo tra i sentimenti ormai barbari di un’umanità post-apocalittica. Così la salvezza è sempre possibile, basta sapere leggere tra le righe.
Ed è proprio il tema della lettura quello che attraverso tutto La terra dei figli, film tratto dall’omonimo fumetto di Gipi. Dopo una catastrofe imprecisata, uno dei pochi ragazzini ancora in vita vede suo padre morire fra le sue braccia mentre era intento a scrivere su un diario. Ma lui, il ragazzino, non sa leggere, e poche sono le persone ancora capaci di decifrare le parole. Decide così di affrontare il mondo sconosciuto e selvaggio per conoscere i reconditi pensieri del genitore, alla ricerca di qualcuno che sappia leggere.
Non è una vera e propria storia di formazione. Qui di canonico c’è poco. La rappresentazione cruda della violenza non più frenata da qualsivoglia regolamentazione legale fa da padrona per l’intera durata del film. Sembra non essere rimasta alcuna traccia di umanità, e i sentimenti sono ormai un retaggio del passato. Sepolta sotto la necessità della sopravvivenza, l’umanità – intesa quale il senso di fratellanza e di comune appartenenza – svanisce ed evapora.
Pure l’amore è cosa antica. Nessuno ricorda più. Nessuno vuole ricordare più. Mangiare: ecco l’imperativo. Mangiare per sopravvivere. Il legame fra il protagonista e una ragazza non ha nulla di convenzionale o di romanzesco, niente di amoroso o tenero. Sembra che entrambi cerchino di capire come dovrebbe funzionare un rapporto a due, ma faticano a comprenderlo, a ricordarlo. Ma il finale, spiazzante, riporta a galla qualcosa di dimenticato, di ancestrale, e di profondamente umano.
Il film ha vinto il Premio speciale del quotidiano Libertà a Claudio Cupellini al Bobbio Film Festival, e il Premio Caligari al Noir in Festival. Nel cast nomi del calibro di Valeria Golino e Valerio Mastrandrea, ma anche l’espressivo Fabrizio Ferracane e la coppia Franco Ravera e Maurizio Donadoni. Una menzione speciale va al protagonista (Leon de la Vallée) e al padre (Paolo Pierobon).