All'ex Convento di San Francesco a Patti una riuscita prima nazionale per Nuovi teatri
PATTI – In una location fortemente identitaria, l’ex Convento di San Francesco, in quel di Patti, la riuscita “mise en scene”, in prima nazionale, del 21 e 22 luglio, una Produzione Nuovi teatri, si è avvalsa di una potente riscrittura e interpretazioni eccelse, così come la direzione e gli allestimenti scenici e multimediali.
La recensione
La regina di Micene, Clitemnestra, concepita e tramandata a noi quale esemplare di eroina negativa, adultera e omicida del consorte Agamennone, verrà, a sua volta, odiata dalla prole e sarà vittima di matricidio per mano del figlio Oreste, con la complicità della figlia Elettra. A sua parziale discolpa, oltre al giustificabile rancore verso il marito, per aver consentito, in obbedienza al proprio ruolo, quale supremo condottiero greco nella guerra contro Troia, che la vergine Ifigenia, altra loro discendente, fosse sacrificata, attraverso simulazione ingannevole di matrimonio, con l’eroe greco Achille, in Aulide, odio che si trasforma nel corso del lunghissimo decennio della pugna in atroce vendetta (uccisione di Agamennone con l’ausilio dell’amante Egisto), è annoverata la presenza di Cassandra, figlia del re di Troia, l’infelice profetessa, divenuta concubina del Sovrano, sia pure in condizione di schiavitù.
Questa, a grandi linee, la versione tradizionale trascritta nella Trilogia eschilea, che, nella convincente riscrittura di Dimitri Mitta, ha invero presupposti e esiti altri. Eccellente la resa interpretativa del trio femminile, le eccelse Manuela Ventura, Noemi Scaffidi e Claudia Di Pasquale, che , può ben dirsi, hanno gareggiato fra loro in abilità attoriale; magistrale, altresì, la direzione dell’artista pattese Stefano Molica, regista e drammaturgo, al quale si è già ascritto l’adattamento ben realizzato di Edipo e Giocasta, anche allora secondo una visione non canonica: Molica peraltro, nell’odierna rassegna “Tindari Festival 2023”, titolata a ragione “Tradizioni”, ha assunto anche l’incarico di vice direttore artistico, coadiuvando in tal guisa il valente Tindaro Granata nella proposizione di performance teatrali, strettamente aderenti al territorio ma di ampio respiro e caratterizzate da tematiche significanti.
Le scene e la resa multimediale, attraverso video proposti, ad impreziosire vieppiù la piece, assolutamente appropriate, sono state tutte di indiscussa qualità. La scenografia, in particolare si è avvalsa di pochi elementi caratterizzanti l’interno della casa ove Elettra conduce un’esistenza priva di sfarzi in compagnia della nutrice: e così ecco delinearsi, al centro della scena, la cornice di uno specchio rettangolare, fondamentale per il faccia a faccia drammatico che segnerà tragicamente lo scontro madre- figlia. Dietro lo specchio, in evidenza, in postazione semi-centrale, una stuoia in tessuto, ove la devota figliola appoggia una effigie paterna, e dietro ancora, più a sinistra, appoggiata a muro, una poltrona di fattezze antiche; sulla destra, un po’ più decentrato, uno scrittoio datato.
Quanto agli elementi multimediali, a cura di Davide Benedetto e Valeria Orlando, gli stessi hanno conferito maggiore forza alla “mise en espace”, sia nell’incipit, laddove hanno preceduto l’ingresso sul palcoscenico delle donne protagoniste, facendocele già conoscere attraverso primi piani intensi e toccanti, che successivamente, anche nel corso della rappresentazione, a sottolineare le parti di maggior rilievo.
Nell’inatteso finale si consuma la trasformazione dei personaggi che, probabilmente anche grazie ai competenti apporti psicologici della teatroterapeuta Di Pasquale, mano a mano, divengono davvero altro rispetto alle tragedie eschilee di riferimento: così se Elettra mantiene l’odio viscerale e puberale di figlia nei confronti di quella madre, dalla quale desidera disperatamente differenziarsi, non accettandone i vizi,( e in ciò può riscontrarsi una perfetta aderenza rispetto allo schema tradizionale), mano a mano che la storia si dipana emergono aspetti inquietanti, ma di segno differente, tali da costringerci a ripensare la figura di Clitemnestra. La regina, indiscutibilmente dipinta anche qui in chiave pressochè “nera”, poiché lontana dagli stereotipi della buona moglie e madre, tutta protesa com’è a farsi ammirare e a valorizzare la propria individualità, in questa riscrittura, attraverso colpi di scena inaspettati, (la prima impressione può non essere quella giusta e giova sospendere il giudizio, ascoltando le ragioni di tutte le parti, non sussistendo una assoluta verità),spicca nella potente plasticità psico-fisica, comunicando la sua persuasiva verità. Emergono nella piece in trattazione, allora, non i sentimenti di risentimento totale verso il condottiero che, per ragion di Stato, ha consentito il sacrificio della figlia, tout court, né la consuetudine del marito stesso di “dedicarsi” ad altre donne, nella specie alla prigioniera Cassandra, bottino di guerra, con la quale avvia una relazione stabile, sotto gli occhi della consorte, tout court, ma elemento decisivo diviene la rivelazione, della regina tradizionalmente vituperata, di non essere lei la madre dei quattro figli di Agamennone, che ha comunque dovuto crescere, pur essendo loro naturale genitrice la nutrice stessa, in un rapporto insospettabilmente consolidato con il re.
Davvero sconcertante e spiazzante tale ricostruzione, che in un crescendo altamente “noir” conduce a due connessi assassini da parte della scioccata Elettra, il primo della nutrice, che confermando la versione della regina, si consegna alla “figlia” nella sua dignitosa e umana vulnerabilità per essere sacrificata, e l’altro della madre per così dire legalizzata, quella fin qui detestata, alla quale Elettra sulle prime sembrerebbe riavvicinarsi, ma alla quale, dinanzi allo specchio di scena, toglie la vita, infine, dietro sollecitazioni della regina stessa. che accoglie quella morte che le proviene da una persona comunque amata.
Clitemnestra non ha più infatti motivo di prolungare la propria esistenza, ora che le si prospetta una vecchiaia in totale solitudine, dato che l’unico uomo dal quale, confessa, si sia sentita amata e protetta, Egisto, è morto…. le tre donne, infatti, si scopre fin dalle battute iniziali, sono pronte per recarsi a un funerale, ma solo in corso d’opera si saprà che è quello dell’amante della regina: sono tutte di nero vestite, ma quel loro abbigliarsi ha un diverso significato, semplice e dignitoso quello della nutrice, apparentemente sempre un passo indietro, caratterizzato da una vestaglia color della pece quello di Elettra, che attraverso il vestiario, appositamente e provocatoriamente non appropriato, vuole esternare la sua mancata partecipazione interiore a quel lutto, ostentato e accompagnato da scarpe rosse, quello di Clitemnestra, sempre curatissima pur in circostanze per lei assai sofferte…i suoi capelli ben acconciati stridono rispetto all’estrema semplicità della pettinatura di Elettra, che ha sempre voluto fin qui celare la donna che è in lei, fino a negarla del tutto, imbruttendosi quasi o quanto meno non curandosi esteticamente.
Emerge il particolare raccapricciante che la nutrice stessa sarebbe stata artefice dell’uccisione di Agamennone e Cassandra, con ciò capovolgendo del tutto l’asse intorno al quale ruota il mito, che ha fatto della regina la rea eccellente dell’omicidio del consorte; si sovverte altresì il matricidio, non più compiuto, come nella versione eschilea, dal figlio Oreste, ma da Elettra, di sua propria mano.
Quell’odio, già ribollente quale magma, pur se sotteso nei confronti della madre, con la quale è
in continua competizione, e alla quale lancia una sfida forte della propria giovinezza, con idealizzazione della figura paterna, alla quale si attribuiscono tratti salvifici non reali (dando vita a quello che, appunto, in psicoanalisi è stato riportato quale “complesso di Elettra”) diviene qui qualcosa di più pregnante e assoluto: le madri vittime di omicidio sono addirittura due, quella naturale, la nutrice e la regina, fino a un momento prima concepita quale vera madre…si suppone che Elettra ritroverà, a cagione di quelle uccisioni, la sua vera personalità, fin qui soffocata.
Il numeroso, pubblico del tutto coinvolto e partecipe, ha ripetutamente tributato applausi prolungati, del tutto meritori, essendosi tenuta la rappresentazione, come mi piace ricordare ancora, in una location davvero suggestiva, quella del Cortile dell’ex Convento pattese di San Francesco, sito di innegabile pregio monumentale e identitario, del tutto in linea, dunque, con gli spettacoli in cartellone per questa edizione, contrassegnata da scelta di tematiche forti e eticamente significanti. Una volta ancora, allora, chapeau.