L'antropologa messinese Giorgia Tulumello tra i protagonisti all'Eaa Annual Meeting di Belfast

L’antropologa messinese Giorgia Tulumello tra i protagonisti all’Eaa Annual Meeting di Belfast

Giuseppe Fontana

L’antropologa messinese Giorgia Tulumello tra i protagonisti all’Eaa Annual Meeting di Belfast

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domenica 27 Agosto 2023 - 08:00

Dallo Stretto a collaborare con Università di tutta Italia. Il percorso della dottoressa è tortuoso e affascinante. Ora si occupa di mortalità infantile nel mondo antico

Tra le protagoniste del 29esimo Eaa Annual Meeting, congresso internazionale organizzato dalla European Association of Archaeologists e appuntamento tra i più importanti dell’anno per studiosi e ricercatori provenienti da tutto il mondo, ci sarà anche una messinese. Si tratta della dottoressa Giorgia Tulumello, che collabora con diverse università d’Italia (Pisa, Salento, Torino) e che sarà impegnata insieme alla dottoressa Francesca Cucinotta dell’Irccs Centro Neurolesi “Bonino-Pulejo” nel parlare di mortalità infantile nel sud Italia tra il quarto e l’ottavo secolo.

Il meeting a Belfast dal 30 agosto al 2 settembre

A raccontarci con entusiasmo cosa accadrà dal 30 agosto al 2 settembre a Belfast, in Irlanda del Nord, è la stessa Tulumello: “Questo è uno dei congressi più grossi in Europa di archeologia. La Eaa ne organizza uno l’anno in varie città e capitale europee. E si tratta di un complesso mastodontico, dove si spazia tra l’archeologia in senso classico ad ambiti più particolari, che arrivano a toccare la chimica, la biochimica, la botanica. Io mi occupo di antropologia e biochimica, per questo seguo queste sessioni”.

“Non sono più un’archeologa classica – spiega poi la messinese, parlando del suo lavoro e del suo impegno tra diversi atenei -. Cinque giorni dopo Belfast sarò di nuovo impegnata, stavolta a Torino. Sono affiliata all’Università di Pisa, alla divisione di paleopatalogia diretta dalla professoressa Valentina Giuffra, ma arrivo dall’Ateneo del Salento, a Lecce, dove lavoro con il professore Giovanni Mastronuzzi, che è proprio un archeologo. E con l’università di Torino ho un’altra collaborazione ma da esterna. Mi occupo di analisi molto specifiche e mi aggancio a chi fa analisi di questo tipo”.

L’ambito di ricerca

Archeologia e antropologia si fondono nel lavoro della messinese, che si concentra su due rami di ricerca: “Mi occupo dell’aspetto più fisico, studiando la mortalità infantile nel mondo antico e cercando di tracciare i riti di passaggio che caratterizzino i bambini molto piccoli. Mi sono accorta studiando siti nell’Italia meridionale, ad esempio Tusa, che i bambini da 0 a 3 anni hanno un trattamento funerario specifico, mentre dai 4 anni in su cambia. Le fonti antiche non ci parlano di questo momento specifico per questo sto incrociando il mio lavoro con chi studia le fonti stesse e i miei dati coincidevano: la mia ipotesi è che ci sia un rito di passaggio, con i bambini a entrare nella società a 4 anni. I motivi sono due: uno è che fino all’ottanta per cento dei nuovi nati moriva entro i 3 anni; il secondo è che la percezione dei bambini da quell’età in poi cambia. Con la dottoressa Cucinotta abbiamo scoperto che i nostri dati coincidono. Anche diventare madre mi ha aiutato, perché ho visto come un bambino cambi tantissimo da 0 a 3 anni”.

L’importanza di fare rete

Più volte la dottoressa Tulumello parla di confronti con i colleghi e con professionisti di altri ambiti. Fare rete è fondamentale anche in archeologia: “Nessuno è un’isola, il network è cruciale soprattutto nella ricerca. Non si può pensare che una sola persona arrivi a fare una grande scoperta, bisogna lavorare in gruppo seguendo le proprie specializzazioni. Il mio lavoro nasce soprattutto dai confronti con professionisti di altri settori. La dottoressa Cucinotta si occupa dell’aspetto cognitivo, è un medico ed è qualcosa che esula le mie competenze. Ma così è anche con l’Università di Torino, con quella di York, con gli archeologi, con chi studia le fonti: nessuno sa tutto. Solo la rete ti aiuta ad arrivare al punto”.

La formazione: “Da Messina a Perugia, poi Pisa e Lecce”

Giorgia Tulumello prosegue, focalizzandosi sull’importanza della formazione: “L’aggiornamento è il fulcro di tutto. E fondamentale è l’università in cui ti formi: può essere la migliore del mondo, ma se non ti insegna a muoverti, a trovare altri punti di vista, a entrare in contatto con altri professionisti, sei morto come ricercatore. Non riesci a crescere, a portare avanti alcuno spunto di ricerca. Personalmente soltanto così sono riuscita a trovare la mia strada e a settorializzarmi. Ho studiato tanto, ho cambiato spesso università, ho fatto molti tirocini. Sono partita dalla triennale e dalla magistrale a Perugia, poi un master con gli atenei di Pisa, Bologna e Milano. Sono rimasta a Pisa ma ho fatto la scuola di specializzazione in antropologia a Lecce. Qui ho fatto anche il dottorato, prima di tornare a Pisa per fare ricerca”.

Il percorso tortuoso: “L’archeologia è fatta di lunghe attese”

“L’archeologia è fatta di lunghe attese – continua -. Finito il master ero troppo acerba come ricercatrice e per questo ho scelto la scuola di specializzazione, un passaggio quasi obbligatorio in questo campo. Non ero ancora pronto per la ricerca ed è stato bene, perché la scuola di specializzazione mi ha permesso di arrivare poi a diventare una candidata per il dottorato”. A 18 anni “non avevo alcuna chiarezza sul futuro. Volevo fare l’egittologa, poi mi sono iscritta ad archeologia ed ho scoperto che l’Italia era più interessante. Poi ho scoperto per caso la passione per i resti umani. Sono figlia di radiologi e quasi naturalmente è nata questa vicinanza con la parte biologica”.

Quello della dottoressa messinese è un percorso lungo e tortuoso affrontato con coraggio. E fondamentale è stato il sostegno della famiglia: “I miei sono sempre stati convinti che bisogna seguire le proprie inclinazioni perché fare qualcosa che non si sente è peggio di morire. La mia famiglia mi ha sempre appoggiato, sapevano che se avessi fatto qualcos’altro non ce l’avrei mai fatta. L’unico limite magari è all’esterno: c’è chi pensa che io faccia l’architetto o che studi dinosauri. Non è nemmeno facile seguire, lo capisco, a volte le persone si inquietano perché parlando del mio ambito spesso mi ritrovo a raccontare di resti di bambini morti”.

Ma sono arrivate tante soddisfazioni: “Nel 2016 sono arrivata a fare il dottorato e dopo tanti anni, lauree, master e specializzazione, è stato molto bello. Ci sono arrivata ‘da grande’ ma ne sono contenta, perché mi sento più sicura di ciò che faccio e mi sento libera di esprimere il mio modo di ricercare. I miei sforzi vanno in una direzione precisa”.

Un sogno e un messaggio

Il sogno, l’obiettivo, qual è? “Sarebbe essere pagata in maniera stabile per fare ricerca ma qui non è raggiungibile. Non riesco a incardinarmi all’interno di un’università perché mi muovo molto da un punto all’altro. Anche così mi sento realizzata, la mia carriera e la mia crescita personale hanno avuto grandi benefici da questo tipo di approccio. A Belfast incontrerò tanti colleghi che ormai sono amici, sarà un’esperienza anche personale e non soltanto professionale”. La dottoressa continua: “Io non volevo andare via, ma ho capito che se fossi rimasta a Messina avrei avuto difficoltà. Non per la città, anzi la facoltà è ottima, ma ero troppo legata alla mia famiglia e non sarei mai uscita dal guscio. Anche andando via, senza di loro e dei miei amici non ce l’avrei mai fatta”.

Un messaggio ai più giovani passa proprio da questo: “La cosa migliore è muoversi. Anche fare l’Università a Messina ci sta, ma prevedete anche di andare via, anche per poco, per periodi brevi. Uno parte quando è pronto e se la sente, ma muoversi permette di entrare in contatto con altre idee, opinioni, anche errori. Tutto questo sempre facendo ciò che è nelle proprie corde, perché il mondo del lavoro è complicato e se tu stesso non hai dentro di te una spinta ti abbatti, ti arrabbi. Fare ricerca è complicatissimo, se non si ha una grande passione è impossibile farla. Forse bisognerebbe dare più supporto ai ricercatori, perché è un ambito importantissimo e ancora oggi ci sono troppe difficoltà, che sia tu donna o uomo”.

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