"L'arto fantasma" di Zanghì in memoria delle 37 vittime di Giampilieri

“L’arto fantasma” di Zanghì in memoria delle 37 vittime di Giampilieri

Marco Olivieri

“L’arto fantasma” di Zanghì in memoria delle 37 vittime di Giampilieri

sabato 17 Agosto 2024 - 22:03

L'ultimo spettacolo del Cortile Teatro Festival

MESSINA – “L’Arto Fantasma” chiude il Cortile Teatro Festival in memoria della tragica alluvione di Giampilieri e Scaletta Zanclea. Messina. Perdere qualcuno che amiamo è sempre un dramma da elaborare, ma perderlo “senza garbo”, senza preavviso e in circostanze tragiche è qualcosa che difficilmente si potrà mai del tutto elaborare. È come perdere una gamba, un braccio, e continuare a sentirselo attaccato, percepirne il dolore anche se attaccato a tutto il resto non è più. Questa condizione, che è una sindrome, dà il titolo a “L’Arto Fantasma”, lo spettacolo pensato, scritto e diretto da Michelangelo Maria Zanghì e prodotto dalla Compagnia di San Lorenzo, che ha chiuso la tredicesima edizione del “Cortile”. Si tratta del Festival di Teatro messinese nato da un’idea di Giuseppe Giamboi, Stefano Barbagallo e Roberto Zorn Bonaventura che ne è anche direttore artistico.

Andato in scena il 13 agosto nella terrazza sul mare della Tenuta Rasocolmo – Cantine Giostra Reitano, “L’Arto Fantasma” trasferisce in drammaturgia un’inimmaginabile dolore, quello per la perdita di una madre che è anche figlia, scomparsa durante l’alluvione di Giampilieri, Scaletta Zanclea, Altolia e altri comuni limitrofi, tutti della zona sud della città di Messina. Una tragedia che costò la vita a trentasette persone, rimaste sotto le macerie di una montagna franata per l’incessante pioggia. E trentasette solo le valigie dai tratti vintage che vanno a formare la scena curata, come i costumi, da Cleopatra Cortese. Ogni valigia, diversa nella forma e nei colori, segna la presenza di una vita. L’’intero bagaglio di un’esistenza che non è più visibile – come un arto fantasma – ma c’è, e vive ancora nel ricordo, nella rabbia, nella disperazione di chi resta e dopo tanti anni si interroga ancora e ancora sulle cause, sui responsabili, sulle conseguenze. La cronaca, d’altronde, ci ha restituito a suo tempo di assoluzioni “perché il fatto non sussiste”, sia in Appello che in Cassazione. Nessun colpevole, dunque, nessuna responsabilità, nessun risarcimento ai parenti delle vittime.

Michelangelo Maria Zanghì ha legato tre personaggi a un filo: Agata, interpretata da Nunzia Lo Presti, il padre della donna, Fortunato e il figlio Elio, intepretati il primo dallo stesso Zanghì e il secondo da Alessio Bonaffini. Quel maledetto primo giorno di ottobre del duemilanove, Agata esce di casa per andare a lavorare a Scaletta e non vi fa più ritorno. Come lei, altre trentasei persone sepolte, il più piccolo aveva due anni. La mancanza di questa donna sottratta in queste circostanze al suo nucleo familiare viene raccontata da due punti di vista diversi che conducono a due differenti destini e un solo sconforto.

Da un lato c’è un padre anziano, un uomo che amava dipingere paesaggi di “mare, montagne, fiumi ma soprattutto prati verdi”, un uomo sopraffatto da un silente dolore che lo ha spento, giorno dopo giorno. Dall’altro, c’è un figlio tormentato dalla perdita violenta e dall’ingiustizia, che spererebbe di rivedere quella mamma anche solo per un momento, per un’altra volta al cinema insieme, per un ultimo piatto di pasta, per un cucchiaio di sciroppo per la tosse e per ricacciare dentro le ultime parole che le ha detto, non sapendo fossero le ultime, e che rimbombano nella sua testa come una colpa: “Non fare rumore”.

La drammaturgia firmata da Zanghì non trascura la delusione per un mondo fuori che sembra non curarsi più di tanto dell’accaduto, a partire da quel minuto di silenzio prima delle partite di pallone, gentilmente concesso, ma solo in Sicilia. Ma si apre anche alla speranza, alla cura dell’anima di chi resta così che Elio possa trovare una ragione di vita nella piccola nipote di Agata, sua figlia.

Un figlio che scava a mani nude per ritrovare la propria madre in mezzo al fango

Nella messa in scena a Capo Rasocolmo, in un silenzio doloroso sul promontorio, lo spettatore è chiaramente rimasto investito da un’onda forte di emozioni, nel grido di un figlio che scava a mani nude per ritrovare la propria mamma in mezzo al fango e che continuerà a scavare finchè avrà le mani. Scavare come raccontare, ricordare e portare in scena, e questo figlio ne ha trovato la forza, continuerà a farlo, con le parole e con l’azione, per lei e per tutti coloro che in quel fango di parole sono morti.

Dopo il recente debutto al Tindari Festival, “L’Arto fantasma” ha chiuso l’edizione duemilaventiquattro del Cortile Teatro Festival chiamando a raccolta un pubblico numeroso e visibilmente commosso. Uno spettacolo che il direttore artistico Roberto Zorn Bonaventura ha voluto prontamente inserire nella sua programmazione e che, in mezzo alle sensibilità emotive di chi era presente, ha fatto certamente rumore.

Michelangelo Maria Zanghì e Nunzia Lo Presti in una foto di scena di Domenico Genovese

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2 commenti

  1. E la mia poesia sulla tragedia che vi ho inviato giorni fa? Pensavo che la pubblicaste. Grazie e saluti

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  2. Leggendo ,per come è stato narrato sembrava di assistere alla messa in scena di quest’atto drammatico di teatro…..L’ Arto fantasma….una similitudine migliore non poteva esserci per rappresentare il dolore per la perdita di una persona cara…..descrizione commovente ….articolo “bellissimo” così come questo spettacolo teatrale,di una sensibilità unica nel descrivere
    la tragicità dell’ alluvione che costò la vita a tante persone.

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