"Isola senza catene". A causa del lavoro nero 3 miliardi l’anno di gettito in meno. Cgil: "Insufficienti gli organi di controllo e per le azioni di prevenzione la legge contro il caporalato non è attuata. La nostra battaglia per la dignità del lavoratore continua”
Il lavoro nero e irregolare, lo sfruttamento del lavoratore fino a forme di schiavitù sono fenomeni cresciuti in Sicilia in questo anno di emergenza sanitaria. Da tempo la Cgil conduce una battaglia per la legalità sul lavoro e i diritti, che si è concretizzata quest’anno con la campagna “Isola senza catene”.
Il sindacato ha battuto l’isola in lungo e largo per incontrare i lavoratori e raccogliere le loro esperienze e il loro disagio. “Viaggio” documentato da Alberto Castiglione, che ha curato la regia di un filmato che mostra disagi, situazioni di degrado abitativo, descrive col linguaggio cinematografico una situazione difficile e una battaglia già iniziata ma certamente non conclusa: quella della piena dignità nel lavoro e del lavoratore.
I numeri
Ma qual è la situazione reale? “In Sicilia il numero degli occupati diminuisce – rileva il segretario generale della Cgil Sicilia, Alfio Mannino – e il lavoro nero e irregolare aumenta in termini percentuali e questo riguarda tutti i settori . Il mancato gettito a causa del lavoro nero è di 3 miliardi l’anno”.
Dal 2013 al 2020 si registrano 51.509 occupati in meno e il lavoro irregolare è cresciuto dal 19,5% al 21,2% (Italia al 13,3% al 13,4%). I settori a più alta incidenza di lavoro irregolare: sono agricoltura, edilizia , ristorazione, commercio, ambiti in cui i tassi stimati di lavoro irregolare (2019) sono rispettivamente 37,3% (23,8 nazionale), 25%, 21,5% per il complesso dei servizi a cui si aggiunge l’11,9% del manifatturiero. Alla crescita del lavoro irregolare si accompagna l’aumento degli infortuni sul lavoro, con un +0,5% tra il 2018 e il 2019. Guardando a tutti i settori “nell’ultima l’ultima massiccia ispezione degli enti preposti al controllo – rivela Mannino – è stato accertato che in 8.900 aziende in cui sono state fatte le verifiche son saltati fuori qualcosa come 6.000 lavoratori irregolari. Questo dà la misura della guerra che si sta combattendo”.
Il settore agricolo
Per quanto riguarda il settore agricolo “registriamo che il 56% delle retribuzioni non è conforme alle norme contrattuali – dice Tonino Russo, segretario della Flai Sicilia – e abbiamo 29.000 lavoratori rischio sfruttamento movimentati dai caporali. Basta guardare i dati ufficiali – aggiunge – per dedurre l’alto tasso di lavoro irregolare. Infatti ci sono 10.502 lavoratori che hanno meno di 10 giorni di lavoro effettuati (8,5%) e che ci sono 24.500 lavoratori con meno di 50 giornate lavorative pari al 19.%. Poi i lavoratori che vanno da 51 a 101 sono 22.500, da 101 a 151 sono 51.000 il resto da 152 a tempo indeterminato. Quindi quasi il 40% del totale dei lavoratori (133.132 unità) ha meno di 101 giornate effettuate. Il fenomeno riguarda sia i lavoratori italiani che gli stranieri, anche se in maniera più consistente questi ultimi. “I lavoratori italiani che hanno meno di 10 giorni – rileva Russo – sono il 7,3% gli stranieri sono il 13,01 %, i lavoratori italiani con meno di 100 giorni sono il 36% e gli stranieri il 44%. Inoltre, le donne, il 20% della forza lavoro, effettuano secondo i dati ufficiali da 1 a 51 giornate di lavoro”.
Su 300 ispettori necessari ce ne sono 94
Una guerra con armi spuntate da parte delle istituzioni preposte, visto che “su 300 ispettori del lavoro necessari ce ne sono 94. Numeri insufficienti anche per quanto riguarda gli ispettori Inail (dagli attuali 20 a 40) e Inps (da 103 a 200). “Basti pensare che in una provincia come Palermo gli ispettori del lavoro sono solo quattro”, rilevano Cgil e Flai aggiungendo che “ la Sicilia può contare oggi su 217 ispettori in tutto a fronte di 368.816 imprese attive. Se ne controllassero una al giorno, ci vorrebbero sette anni per controllarle tutte”. Cgil e Flai rivendicano anche la piena attuazione della legge contro il caporalato nella parte che riguarda la prevenzione con la realizzazione delle sezioni territoriali della rete del lavoro agricolo di qualità, e la riforma del mercato del lavoro con l’istituzione del collocamento agricolo pubblico. Il sindacato chiede anche che i contributi pubblici vadano alle aziende sane che operano nella piena legalità.