L’eredità e l'intestimoniabile: il “vuoto” tra le generazioni di S. Connery e G. Toti

L’eredità e l’intestimoniabile: il “vuoto” tra le generazioni di S. Connery e G. Toti

Elisabetta Marcianò

L’eredità e l’intestimoniabile: il “vuoto” tra le generazioni di S. Connery e G. Toti

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domenica 08 Novembre 2020 - 13:19

Ciò che hai ereditato dai padri riconquistalo, se voi possederlo davvero

Tu sei la mia sveglia» disse il ragazzo. «La mia sveglia è l’età» disse il vecchio. «Perché i vecchi si svegliano così presto? Sarà perché la giornata duri più a lungo?”

Età

Ernest Hemingway nel 1951 aveva 60 anni. Per quel tempo aveva già l’età di chi potrebbe narrare di racconti e fatti e farne di significati cornice. Fu grazie a “Il vecchio ed il mare” che nel 1953 venne premiato con il Premio Pulitzer. Proprio questo racconto ed il successo di critica che ebbe contribuì a fargli ottenere il Premio Nobel per la Letteratura nel 1954. Mi ha incuriosito, in verità, e ho fatto un ricerca: a quale età media si vince il premio Nobel? Bene, in media, i ricercatori lo vincono a 59 anni. Ora faccio a voi, che leggete questo articolo, una domanda: si è “vecchi” a 59? A che età possiamo considerare “vecchia” una persona?”

In occasione del 63°Congresso Nazionale (Roma 2018), la SIGG (Società  Italiana di Gerontologia e Geriatria) ha innalzato la soglia dell’anzianità media a 75 anni. Rimarcando che la capacità funzionale ed adattiva di una persona determina: la sua appartenenza alla terza età (condizionata da buone condizioni di salute, inserimento sociale e disponibilità di risorse); o alla quarta età (caratterizzata da dipendenza da altri e decadimento fisico).

Eredità

Chissà come avremmo definito Sean Connery e Gigi Proietti, che hanno lasciato definitivamente gli schermi ed i palcoscenici della vita rispettivamente all’ età di 90 ed 80 anni in questi ultimi giorni. Chissà se avremmo mai pensato di loro quanto, e se la “vecchiaia” abbia potuto portar via dal nostro immaginario scene, interpretazioni, personaggi, e sketch che hanno incarnato e lasciato in eredità al mondo e a chi li ha ammirati. Chissà se l’ eredità di una persona “vecchia”, è un’eredità che pesa o che è un  peso…che è sarcofago di lectio ed immagini, o piuttosto diventa zavorra di cui disfarsi.

Comunicazione

So bene che la frase testé detta è forte, so bene che nessuno forse riuscirebbe, se non per vissuti edipici personali, a sostenere la seconda delle due ipotesi formulata. Ma gli echi di un tweet scellerato di un sedicente protagonista della vita politica italiana attuale (avremmo preferito senza dubbio un T in più, caro Toti) che qualche giorno fa “culturegiando” sui dati COVID in Liguria ha parlato di “…pazienti molto anziani. Persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese che vanno però tutelate, sono stati talmente tanti e tali, da non poter lasciare indifferenti ad una riflessione da sottoporre al giovane Governatore Ligure, che peraltro appare utile ricordare trattasi di ex giornalista professionista, ergo di chi in teoria dovrebbe ben sapere cosa e come si comunica, e che responsabilità ha la “sorgente” in un processo comunicativo. Ed allora, forse, credo sia importante ricordargli cosa sia un ‘eredità.

Generazioni

Goethe nel suo “Faust” parla della posizione del figlio-erede: “Quel che hai ereditato dai tuoi padri riguadagnatelo, per possederlo.” E fu Freud per primo a rileggere in chiave psicoanalitica, nelle ultime pagine di Totem e tabù questo passaggio: “Se i processi psichici di ogni generazione non si prolungassero nella generazione successiva, ogni generazione dovrebbe acquisire ex novo il proprio atteggiamento verso l’esistenza, e non vi sarebbe in questo campo nessun progresso e in sostanza nessuna evoluzione. (…) E di quali mezzi e vie si serve una generazione per trasferire alla successiva le proprie condizioni psichiche? Il compito sembra assolto in parte con l’ereditarietà di alcune disposizioni psichiche, che richiedono tuttavia una certa spinta individuale per ridestarsi e diventare operanti. Forse è questo il senso delle parole del poeta: “Ciò che hai ereditato dai padri riconquistalo, se voi possederlo davvero”.

Eredità è progresso

L’eredità è progresso. Il progresso è possibile solo se esiste testimonianza tra generazioni. Solo se il figlio-erede ha davvero l’intenzione di ri-conquistare, di ri-modellare l’eredità dei padri non passivamente accettata, e ri-definirla propria. Essere eredi pertanto non vuol dire possedere. L’eredità non riguarda il possesso. Un padre/maestro/vecchio riconosce il valore di un figlio/allievo/giovane, ma sta all’erede non indugiare troppo con il desiderio di essere riconosciuto. Desiderare in modo esasperato il riconoscimento, alla lunga, porta a pensare che non può farcela finché non viene riconosciuto e sostenuto.

Un mare di eredità

È importante, allora, non fermarsi mai nella posizione passiva di dover essere riconosciuti; di identificarsi a essere qualcosa o qualcuno. Un vero atto, un atto pieno di testimonianza necessita del vuoto. Un vuoto centrale tra generazioni che consenta il non testimoniabile. Capace di restituire quello spazio forte, sofferto e vivido che dia spazio alla non possibilità di identificazione. Manolin chiede una testimonianza a Santiago che il “vecchio” non gli può concedere: l’ alba attende un risveglio che il giovane dovrà vivere da solo…nel silenzio del risveglio, il vuoto di affacciarsi al mondo spinge gli occhi di Manolin a guardare l’ orizzonte e a farlo proprio. Santiago sarà li, al suo risveglio, con un sorriso forse pieno di rughe. Un “sorriso eredità”. Il vecchio, il ragazzo e un mare di eredità.

Vincenzo Maria Romeo

Psichiatra – Psicoanalista

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