Drammaturgia e direzione magistrali di Rosario Palazzolo e con un Salvatore Nocera in stato di grazia per la messa in scena al museo "Accascina" di Messina
MESSINA – La pièce della scorsa settimana al Museo “Maria Accascina”, giustamente gremito per l’occasione, è stata ulteriore conferma della bontà della Rassegna 2024 ClanDestini, che si è chiusa con una produzione “Teatrino Controverso” e “T22”, davvero di valore. Del resto, la drammaturgia e la direzione di “Letizia Forever”, entrambe magistrali sotto l’egida del vulcanico performer Rosario Palazzolo, palermitano, non avrebbe potuto condurre a esiti differenti da quello ottimale.
La solitudine e lo sradicamento di Letizia, siciliana in continente
Eppure, la rappresentazione non è certo di recente messa a punto, ha girato l’Italia riportando costante alto gradimento, ma la sua attualità è indiscussa e per gli stimoli offerti intriga ancora e, si può scommettere, per altre durevoli stagioni potrà essere validamente proposta
“Mise en espace” essenziale e di grande impatto, con una protagonista – en travestì – esilarante e al contempo pervasiva, resa indimenticabile da un Salvatore Nocera in stato di grazia, che per quasi 90 minuti, ma già in parte ancor prima dell’incipit della mise-en-scène ha saputo avviluppare gli astanti, conducendoli per mano nella propria vicenda esistenziale, a partire da quel dì, del 6 gennaio 1963, ove aveva visto la luce in una Sicilia ancora retriva, in un contesto familiare come tanti, amata dal padre e tollerata da parte materna.
Una Letizia tenera, scoppiettante, il cui racconto viscerale non lascia però scampo, fra episodi crudi ed altri intrisi di umorismo, colorato da gamme diversificate, dall’ironia, al sarcasmo, alla pura gaiezza, ma sempre intriso di una patina di tristezza, che via via si radica sempre più…
E l’erma bifronte, di pirandelliane ascendenze, si impone in quel dualismo che è parte della esistenza di tutti.
La ruvida Letizia, dalle pantofole rosa, e un abitino liso, gli occhi azzurrati da un accenno di trucco, il volto (con barba lunga) ingentilito da orecchini, è tutto e il suo contrario. Parrebbe “prima facie” una isolana mai sgrezzata, sgrammaticata e espressione di una sottocultura popolare di basso livello, ove le canzonette dei “fabulosi” anni 80, con i loro ritmi orecchiabili e ballabili, sono protagoniste, addolciscono quella vita, tanto grama, e anzi sono capaci di stimolare ricordi invasivi che devono trovare fuoriuscita.
La apparente elementare significanza dei primi momenti della performance, mano a mano si tinge di giallo, portandoci su un terreno sorprendentemente differente, che muta sotto il nostro sguardo nel prosieguo narrativo, consentendoci però solo sul finale di sciogliere i nodi della storia, in primis quello afferente la collocazione dell’ambientazione.
Di certo, per il primo quarto d’ora quella palla fosforescente, allocata sopra la testa della signora, seduta, che ha rimandi alle discoteche degli stessi anni 80, non poteva trovare adeguata soluzione, se non con riferimento alla oggettiva propensione ossessiva verso quelle sonorità della misteriosa Letizia.
Con musica e canzoni, che si sono alternate alle sue narrazioni (da “Comprami” di Viola Valentino, ai cavalli di battaglia dell’amato Pupo), da un certo momento “provocate” da melodie e parole stranamente affini-e anzi appositamente atte a sollecitare quelle confessioni- alle quali la donna, assecondando tale meccanismo invasivo, ha sovrapposto i propri ricordi, con il prezioso script che è scivolato verso ritmi sempre più incalzanti
E di canzone in canzone, di esperimento in esperimento, con lo stridulo suono a bloccare la narrazione della protagonista, quando fa uso di un linguaggio più sboccato, la micro-storia si è andata ricomponendo, fra battute e osservazioni, anzi dissertazioni profonde, intrise di filosofia , in un crescendo, anche di livello e coinvolgimento del pubblico che non si è perso una espressione del volto, né la gestualità generosa di Letizia-come il ripetitivo curarsi di sistemare la gonna, di certo scaturente da retaggi moralistici- così come i particolari della sua vita, con particolare focus sulle sue vicissitudini famigliari, iniziate con la” fuitina” a Milano, con connessa rottura con la genitrice ostile, che non aveva neppure voluto conoscere i nipoti. E mentre il figlio Michelino sembra, dai resoconti materni, ancora vicino a Letizia, la figliola, seguendo il triste esempio della pregressa generazione, non pare aver “accettato” particolari tragici accadimenti riconducibili alla mamma.
Dal canto suo, il marito, “conducente” di mezzo di mezzo di linea, di mestiere e per tendenze sopraffattrici, non ha di certo, vivendo in continente, perso i tratti peculiari dell’antico omo siculo, che porta i pantaloni e dirige la vita familiare, sempre silenzioso fra le mura domestiche, ove fa ritorno solo in serata…D’altro canto è pur vero- confessa Letizia – che è regola d’oro non parlare mai al conducente, anche perché non potrebbe rispondere, come accade con il consorte in via diuturna, finché una sorpresa, andata a male, non mette Letizia al cospetto della nuda realtà, degli interessi del coniuge, di segno differente- con una “milanisa”, che parla da” milanisa” e veste da “milanisa” – con conseguenze tragiche che la protagonista deve ora scontare…pur non sembrando affatto pentita da quanto occorso, che è stato per lei liberatorio.
Abbiamo riso di lei alle prime battute sgangherate, con lei per le deliziose espressioni come “la casa vista case” in quel di Milano, mentre cerca con ostinazione di dare comunque un senso a quella esistenza deprivata, in un contesto di solitudine e di sradicamento dalle proprie radici, assaporato il suo totale appagamento nello sfogliare immagini di riviste con storie dei divi, quasi sempre del magico e smagliante mondo canoro, che si è sedimentato anno dopo anno di onorata lettura di “Grand Hotel” e “TV Sorrisi e Canzoni”, condiviso i suoi cambiamenti radicali ,con quella finale ribellione, pur se confluiti in una reazione di eccesso di legittima difesa, verso quell’universo degradante, ove il consorte l’aveva relegata, senza legami né rapporti amicali, usandola come fattrice e domestica e conducendo intanto una doppia vita.
Cadono le illusioni…la vita non è tale e quale una copertina di Sorrisi e Canzoni… Tutt’altro, e del resto, già con l’avvento degli anni 90 quell’incanto si era andato dissolvendo.
Assistente alla regia Irene Nocera,
Assistente alla regia Irene Nocera; sfolgoranti Scene, pur nella essenzialità, con oggetti, quale il registratore, utilizzato a doppia mandata, di Luca Mannino;
Disegno luci di Toni Troia;
organizzazione di Stefano Mascagni Giada Biondo.