Dopo le assoluzioni a pioggia del 2004, il caso era stato riaperto dal "pentito" Avola, che ha fatto ritrovare nel Catanese la presunta arma del delitto
REGGIO CALABRIA – Il boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, arrestato ieri a Palermo, è indagato anche dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.
Il suo nome compariva, assieme a quello di alti 16 indagati tra boss e affiliati a cosche mafiose siciliane e calabresi, in un avviso d’accertamenti tecnici non ripetibili notificato nel 2019 dal procuratore Giovanni Bombardieri e dall’aggiunto Giuseppe Lombardo e dal pm Stefano Musolino, nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio del sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione Antonino Scopelliti, ucciso il 9 agosto del 1991 in località “Piale” di Villa San Giovanni mentre faceva rientro a Campo Calabro.
In passato, su quel delitto c’era stato un processo che si era concluso, nel 2000 in Corte d’Appello e nel 2004 in Cassazione, con l’assoluzione di numerosi boss siciliani tra cui Bernardo Provenzano, Nitto Santapaola, Giuseppe e Filippo Graviano.
A distanza di anni, l’inchiesta sull’omicidio del giudice Scopelliti è stata riaperta grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Avola che ha fatto ritrovare in provincia di Catania il fucile che, secondo la Dda, sarebbe stato usato per sparare al magistrato che, davanti alla Suprema Corte, avrebbe dovuto rappresentare l’accusa al primo maxiprocesso di sempre a Cosa Nostra.
L’indagine è ancora in corso e oltre a Matteo Messina Denaro, sono coinvolti altri sei siciliani, i catanesi Marcello D’Agata, Aldo Ercolano, Eugenio Galea, Vincenzo Salvatore Santapaola, Francesco Romeo e Maurizio Avola. Sono 9, invece, i calabresi indagati: Giuseppe Piromalli, Paquale Tegano, Antonino Pesce, Giorgio De Stefano, Vincenzo Zito, Pasquale e Vincenzo Bertuca, Santo Araniti e Gino Molinetti.
Tra gli iscritti nel registro degli indagati c’era anche il boss di Archi Giovanni Tegano che, però, è deceduto l’anno scorso in carcere.